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Giallo e scrittura: ottimo matrimonio

Sarà stata l’estate torrida, saranno le fatiche della vita, ma ho avuto bisogno di rilassarmi. E i ‘gialli’ sono un ottimo mezzo affinché si allontanino dalla mente le lotte intraprese per difendere il corsivo o per affermare il valore dell’analisi di un tracciato che una volta lì, sul foglio, disegna chi scrive.

Eppure, anche leggendo semplici gialli, classici o moderni, non ho fatto che trovare accenni… alle grafie: “con la sua scrittura angolosa“, “la scrittura minuziosa dai piccoli caratteri“, “era una grafia femminile“…

Perché sorprenderci? Uno dei padri del ‘giallo’ Edgard Allan Poe, che con Gli assassini della via Morgue dà l’avvio al romanzo poliziesco detto psicologico, si mostra attento al valore che la scrittura possiede nel descrivere lo stato d’animo del soggetto: “La scrittura denotava un’agitazione nervosa“.

In particolare, Poe, uomo inquieto e curioso, era attento al valore indiziario che la scrittura, in quanto prodotto unico e individuale, offriva. In uno dei più famosi racconti, La lettera rubata del 1845, sembra volere giocare con il lettore: non rivela il contenuto della lettera MA…

Pensai che sarebbe stato, via, un peccato, se non gli avessi lasciato un qualche indizio. Colla mia scrittura, che conosce molto bene, ho copiato…”.

Infatti:

“Con occhi di lince scorge immediatamente la lettera, riconosce la calligrafia che ha scritto l’indirizzo…”.

D’altronde:

L’indirizzo era d’una scrittura di donna, finissima… “.

E poi:

Qui l’indirizzo era d’una scrittura minuta e femminile; nell’altra, l’indirizzo portante un nome della famiglia reale, era d’una scrittura ardita, decisa… “- 

Elementare, Watson.

Anna Rita Guaitoli

Come si dirà “attento, piccolo”?

Ci saranno le giuste pause per non spaventare ancora di più il ‘piccolo’? Ci sarà l’intonazione giusta per far sentire al piccolo che non è solo?

Già: oltre a penna e carta, corre voce che per essere ‘moderni’ bisognerà perdere anche la voce (!) che ci sgrida severamente, o ci coccola con tenere parole.

Mi è arrivata (labvoce@gmail.com) notizia di come i colossi fabbricatori di “assistenti vocali”, stiano sviluppando sistemi che permetteranno alle macchine di dialogare anche con i bimbi. E’ già in fase avanzata di progettazione da parte della Mattel, grande produttore di bambole, una Tata-Robot. Un ‘navigatore’ anche per i piccoli?

Dimenticavo: la Mattel ha pensato anche al nome: Aristotele. Potrebbe essere interessante riflettere sulla scelta di un filosofo; ma anche sul perché di un nome maschile. Nostalgia del ‘padre’ che consegna la legge? Paura della crescente maternizzazione della famiglia moderna?

Via, non mi va più di scherzare. So bene, occupandomi tanto di scrittura, come la voce, per intensità del tono e qualità del timbro, sia individuale, immediatamente riconoscibile: proprio come un tracciato grafico (non sono stati poche, del resto, le ricerche sul rapporto scrittura-voce).

Comunque, da quando l’uomo ha specializzato ugola e corde vocali avviando la corsa nella scala evolutiva, ha fatto della modulazione della voce lo strumento primo per esprimere sentimenti, per comunicare situazioni, per coinvolgere chi ascolta.

Intanto, altre domande: scomparirà anche quel ‘mammese’ (Stai attento attento, piccolino…), considerato “dinamite per lo sviluppo del linguaggio”? Basteranno le sole parole delle ‘ninnenanne’ per calmare i cuccioli d’uomo? Non saremo, tutti, un po’ più poveri dei colori delle emozioni?

Anna Rita Guaitoli

E Papa Francesco predica in silenzio

Nel senso che rimane in silenzio durante l’omelia, e in una data importante: venerdì 17 marzo, in piena Quaresima. Il sito vaticanista della Stampa sottolinea che Francesco è stato in silenzio volutamente “in un momento di tanti e continui rumori”.

Perchè solo nel silenzio di può trovare la verità.

Perché il rumore che ci attornia sta uccidendo i pochi neuroni rimasti attivi nei confronti dell’empatica relazione con gli altri.

Perché il silenzio fa paura.

Lo prova lo studio pubblicato su Science circa due anni fa in cui si riportano i risultati di 11 studi delle maggiori università americane: in particolare, quello della Università della Virginia attesta come dei 700 partecipanti, di età dall’ampio spettro (18-77 anni), la maggior parte ha trovato estremamente spiacevole stare da soli in una stanza per 6-15 minuti al massimo (!). Il 64% delle donne e il 15% degli uomini hanno preferito addirittura sottoporsi a una sessione di elettro shock, piuttosto che restare in compagnia dei propri pensieri (!!).

Bene: senza certo volermi mettere in rapporto con Papa Francesco (della sua grandezza, ne sono certa, la Storia prenderà atto) né con i professoroni della Virginia, nel titolo del mio primo libro sullo studio del segno grafico, indicavo nel titolo (Ascoltare il segno. Per un dialogo silenzioso con la scrittura dell’adolescente, Borla, 1999) come occorresse attivare un dialogo silenzioso con questi adolescenti troppo coinvolti nel rumore e troppo incapaci di trovare le parole per dire delle emozioni che pure provano, delle paure che pure avvertono.

“In un atteggiamento di silenzio l’anima trova il percorso in una luce più chiara…”. Gandhi è sempre fonte giusta per una citazione che sia spunto di riflessione.

Anna Rita Guaitoli

Una buona notizia: il lettering.

E va bene anche il solito termine inglese se suscita speranza.

La sostanza è antica: scrivere a mano. Da tempo indica la ricerca con cui dare particolare forma agli elementi della composizione, siano lettere, numeri, punteggiatura: una ricerca quasi artistica nel combinare testo, forma delle lettere, colore, composizione, usata nella pubblicità e nei fumetti, magari solo per commentare una immagine. Libri, blog, tutorial, impazzano.

La novità, dunque, è che potrebbe dare una spinta a diversa comunicazione tra due persone: sembra ora, quell’inglesismo, indicare una nuova voglia di scrivere a mano abbandonando gli impersonali SMS. Si intensificano, collegandosi ad esso, i corsi di calligrafia.

Non sarà il mio inesausto e inesauribile desiderio di vedere il lato buono delle cose a farmi attivare il passaggio di senso prima annunciato? Stiamo ai fatti: il passaggio dal disegno della lettera all’attenzione alle lettere, è comunque il riconoscimento del valore della scrittura a mano, là dove si percepisce una “sensazione di calore”. Così si esprime, in una intervista, Simone Cannolicchio, del lettering artista ed esperto, sottolineando che si comincia ad avvertire l’esigenza di “piccole imperfezioni, segni delle sfumature, dimensioni non perfette”: tutto ciò, ancora afferma, rende “il lavoro caldo” con la possibilità di ritrovare sensazioni positive. E, appunto, permette una personalizzazione dello scritto.

Per la verità molti non sanno (ma voi che mi leggete, sì, lo sapete) che al di là di svolazzi e chiaroscuri ricercati la grafia è sempre originale: nel senso che è di quell’individuo specifico. Quel lui/lei che viene subito riconosciuto dall’amico/a, dall’innamorato/a, non appena si sia ricevuta (??!) una cartolina, una lettera.

Per il momento, accontentiamoci del prolificare dei corsi di lettering e calligrafia.

Anna Rita Guaitoli

E la carta ‘tiene’

Bulimica come sono delle notizie riguardanti la scrittura a mano, mi sono inorgoglita per i recenti articoli che su questo convergevano: attori o scrittori che siano, fanno buon uso di taccuini o foglietti che siano. Anzi, ancora meglio: come il vecchio vinile, sta tornando di moda l’uso della carta (e della penna) anche tra i più giovani.

Il Finantial Times ha pubblicato (fine 2016) una inchiesta dal titolo “Millennials start the year with paper diaries and notebooks” da cui sembra che non si possa iniziare l’anno nuovo senza essere provvisti di un diario, o simile: purché di carta. E non importa quanto agende-taccuini-quaderni costino: beh, se i millenials (la variegata generazione post-X) sono in carriera, di certo possono acquistare l’agenda esclusiva della Cosmic, foderata di vitello verde, a 385 euro.

La pubblicità, intanto, invita a personalizzare i propri taccuini, o a utilizzarne di ‘ecologici’ con carta riciclata, o a sfruttare l’inventiva di designers ed artisti. Ben venga questa pubblicità se riesce a ricordare il fascino insostituibile della ‘materia’ (carta, penna, inchiostro) che permette alla mano di tracciare un segno, su quel foglio, unico e riconoscibile. Un segno che andrà a costruire un tracciato dal ritmo tutto individuale: come è individuale il ritmo del camminare, del pensare, del cuore.

Se togliamo il ritmo, la vita scompare. Tutto diventa piatto, senza spessore, senza movimento.

Facciamola danzare, insomma, la mano sulla carta. Come ad ognuno piace.

Anna Rita Guaitoli

Il segno scritto per dire ‘pace’

In tempi così drammatici, dove i bambini muoiono come formiche schiacciate da giganti senza occhi, nel cuore nasce solo una parola: “pace”. L’unico augurio possibile nel Natale 2016.

Ve lo rivolgo a modo mio. Ricordando la ricchezza simbolica dei segni di scrittura in alcuni alfabeti, tanto diversi dal nostro, dove significante e significato si congiungono nel segno tracciato sulla carta.

Prendiamo uno dei più conosciuti, l’ideogramma cinese. E scelgo, tra le diverse possibilità, l’ideogramma “an”: nel suo disegno stilizzato si riconosce sopra un tetto, e sotto il segno che indica la donna.

pace1

Ecco: la casa e la donna portatrice di vita vanno a significare quell’aspetto della pace coniugabile con il significato di tranquillità. Una tranquillità che si può recuperare nella propria ‘tana’, laddove relazioni serene riescono a cullare ogni inquietudine: sostando così, per un po’, in un porto conosciuto, si riprenderà fiato, ci si rafforzerà.

C’è un altro alfabeto cui voglio fare riferimento. Appartiene a un popolo il cui diritto di pace è stato insanguinato da violenze di ogni genere che – ormai è ufficialmente riconosciuto – hanno determinato un vero genocidio.

Sto parlando del popolo armeno, popolo di antichissima civiltà che, nelle varie diaspore, ha cercato di mantenere la propria identità attraverso la conservazione e l’insegnamento dell’alfabeto.

Una collega colta e sensibile quale Enrica Baldi, ne ha dato recentemente una lettura grafologica approfondita e ricca di implicazioni. E così ha rilevato in un segno che è presente solo nell’alfabeto orientale della Repubblica Armena, una complessa simbologia della pace:

pace2

Lo vado a descrivere usufruendo della sua analisi: nel taglio sul primo elemento verticale c’è “la volontà di avanzare per realizzare i propri obiettivi”; la ghirlanda dice della capacità di recepire gli “apporti esterni”; l’asta che dalla zona superiore sprofonda in quella inferiore impedendo il collegamento con la lettera seguente, è “un aperto invito a tenere a freno la propria volontà… affinché non diventi prevaricazione sull’altro”. E poi, appunto, ancora la ghirlanda a ribadire la necessità dell’accogliere.

Pace come tranquillità e pace come apertura all’altro, dunque. Il mio augurio.

Anna Rita Guaitoli