Cosa c’è di più scomodo che fondare, oggi, un giornale di carta. Da leggere, con calma. Su cui riflettere.
Cosa c’è di più scomodo pensare a dei ragazzi che si riuniscono e parlano di cosa scrivere nella rivista, di quali problemi affrontare, di come sovvenzionarsi. Senza pubblicità. Per creare un prodotto ‘bello': con “copertine d’autore, ben illustrato e con carta eccellente, bello anche da tenere in mano“.
No: non sto scherzando; né sto sognando. Tutto questo esiste dal 2016, a Roma. E’ da tempo che covavo questa notizia. Ora che sono passati tre anni e che quei ragazzi sono diventati 400, e le copie distribuite (gratis, in punti raccolta; 4 euro al mese per chi crede nel progetto) sono state 7.500 al mese: beh, fatemi dire la mia felicità.
Nel mio cantuccio, di carta si è sempre parlato. Della tartaruga metafora della lentezza necessaria alla riflessione, pure. Dell’importanza del rapporto “tattile” anche. Ma questi sono giovani, i ‘nostri’ giovani. In una Roma abbrutita tanto da sembrare senza speranza; in una società che esalta violenza e ignoranza: loro ci sono.
E dicono: “Non si tratta di fascinazioni nostalgiche, ma di una scelta ponderata… La carta, così vissuta, getta un ponte tra la memoria visiva e quella tattile, riducendo al minimo le distrazioni che possano frapporsi tra il lettore e il testo che questi si trova davanti”. Perché: “L’informazione sta tutta nell’approfondimento delle questioni, nel donare al lettore le chiavi per capire la realtà che ci circonda. Questa informazione lenta, critica e indipendente è possibile solo attraverso un giornale cartaceo…”.
Grazie.