L’accostamento invero audace mi è stato suggerito da uno degli aforismi più (ahimè) noti e diffusi (ahimè ahimè) nel web: Io trovo i miei versi intingendo il calamaio nel cielo.
Così ha scritto Alda Merini: poeta vero, ben al di là delle pillole stucchevoli di cui è stato inondato il web. Comunque si consideri la sua produzione (eccessiva, anche: “dissenterica” dirà lei), la Merini è poeta perché del poeta sa la fatica eppure non può che gridare “ho bisogno di poesia”.
Si fa chiaro nel suo caso – quando rinchiusa nel manicomio gli venne offerta dall’illuminato nuovo direttore la possibilità di scrivere – il valore delle lettere che si stagliano nere su foglio bianco cercando, una dopo l’altra, di comporre le parole che urgono. Nella manifestazione grafica, nella concretezza del segno-materia fatto di inchiostro, lascia quella traccia di sé che la può aiutare ad uscire dalla propria solitudine, di comunicare con l’altro.
E così sul foglio bianco, con fatica e dolore, grafema dopo grafema, lettera dopo lettera, dà visibilità alle emozioni indicibili, dà ordine al “caos” che vive dentro: ce lo dice lei.
I fogli bianchi sono la dismisura dell’anima
e io su questo sapore agrodolce
vorrò un giorno morire,
perché il foglio bianco è violento…
io mi compongo
lettera su lettera all’infinito….
Anna Rita Guaitoli