Il casco (un vero e proprio elmetto spaziale, collegato a 250 sensori altamente sensibili a misurare l’attività cerebrale) è quello messo a 24 ragazzi e bambini dalla neuroscienziata olandese Audrye van der Meer della Norwegian University of Science and Technology.
La stessa aveva già fatto studi simili e il risultato, per chi segue questo tipo di ricerche, è lo stesso: si impara e si ricorda meglio usando carta e penna. L’esperimento (non recentissimo – 2020 – ma l’ultimo ad avere avuto risonanza) ha raccolto comunque numerosi dati la cui sintesi è in un articolo scritto dalla medesima scienziata: Solo tre dita scrivono, ma lavora tutto il cervello.
Già: “la tastiera richiede sempre lo stesso movimento, mentre con la scrittura a mano le dita devono compiere percorsi armoniosi, che sono utili in diversi modi”.
In questo studio anche il disegno viene riconosciuto attività complessa quanto la scrittura: entrambi riescono ad attivare gli “appigli” che creano contatti fra diverse parti del cervello permettendo di costruire gli schemi necessari per apprendere, codificare le informazioni, e poi creare.
Lo so: oggi che scrivere a mano sembra un gesto in via d’estinzione con i nostri giovani prigionieri dei loro smart-phone , gli occhi sempre più incollati sulla tastiera o alla ricerca frettolosa di qualche “faccetta”, … ricordarlo (magari agli adulti responsabili dell’educazione), sa da chiacchiera inutile di ‘grillo parlante’.
Ma poco me ne importa: in questo mio cantuccio sono libera. E posso così sottolineare della studiosa l’altra osservazione che amo: “premendo una penna sulla carta vengono attivati molti sensi…si ascolta il suono della scrittura”.
Anna Rita Guaitoli