E’ stata sicuramente una delle figure più analizzate, in quanto poeta, drammaturgo, modello di vita, eroe, innovatore di linguaggio, esasperazione del proprio personaggio: tutto questo è D’annunzio. E i grafologi non si sono tirati indietro, sottoponendo una grafia così ‘scultorea’ a innumerevoli analisi.
Non è tanto l’anniversario (150 anni della nascita) che mi sollecita ancora l’incontro, quanto lo stimolo ricevuto dalla ricerca ricca e documentata di Carlo Piola Caselli (Gabriele D’Annunzio e gli eroi di San Pelagio, edizioni Adamoli, 2013). E’ un lavoro prezioso per recuperare sfaccettature diverse di D’Annunzio: nella dimensione corale, il Vate appare disponibile a mettersi in gioco, dimenticando età[1] e fama: si dichiara “pari tra pari”, e se si organizzano turni di guardia “ne vuol fare uno”; accoglie i nuovi con “una mano sulla spalla”, rinfocola entusiasmi camerateschi tenendo “cerchio con la sua vena di sana allegria”. E i suoi scherzano di lui, raccontando le sue superstizioni, ne fanno ritratti umoristici che evidenziavano come “infagottato nella grigia combinazione di volo, […] sembrava più un cacciatore d’orsi delle regioni artiche, che un aviatore”. La foto (fig. 1) che segue ne darebbe ragione.
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Ma è anche un D’Annunzio che sa rispettare le regole, pur continuando a combattere con fermezza (e pazienza: “vinceremo con la silenziosa perseveranza”) per ciò in cui credeva. Soprattutto, credeva nelle potenzialità della neonata aereonautica militare e, attraverso questa, nella possibilità di azioni non esclusivamente belliche. Come quella che si chiamerà il “Volo su Vienna”.
Subito, allora, vi voglio portare nel castello di San Pelagio, vicino Padova. C’è, oggi, un giardino, con 200 varietà di rose, e un “Viale degli Eroi” con piante quali l’alloro – ovviamente dedicato al poeta. C’è poi, un Museo dell’aria, che ripercorre l’intera storia del volo umano. Ma, allora, c’era la sede della Squadra di aerei[2] detta “La Serenissima.
Siamo nel 1918, tempo per molti dei nostri lettori certo nebuloso. E’ la guerra del 1918, quella tragedia immane vissuta nel fango e nelle trincee. Ricordare alcuni di questi giovani piloti, grazie alle scritture con cui ho avuto la possibilità di entrare in contatto[3], mi sembra essere una opportuna operazione di memoria che vuole, sì, ricordare ancora D’Annunzio, ma vuole essere, soprattutto, rispettoso omaggio verso quei giovani che erano pronti ad offrire la loro vita per degli ideali.
Anna Rita Guaitoli – Dall’articolo pubblicato nella rivista “Il Giardino di Adone” n. 23
[1] Dirà poi: “La sorte mi aveva fatto principe della gioventù alla fine della vita”.
[2] Lo SVA fu tra i primi aerei di concezione e costruzione interamente italiana. L’acronimo deriva dalle iniziali dei cognomi Savoia, Verduzio (gli ingegneri che lo progettarono) e Ansaldo, la ditta che lo costruì in circa duemila esemplari a partire dal 1917.
Mi piace ricordare l’apporto del figlio ingegnere di D’Annunzio, Veniero, che prestava servizio militare presso l’ufficio tecnico della Caproni e informava il padre sui progressi tecnici. Il 3 giugno del 1917 gli aveva scritto: “… abbiamo finalmente un prodigioso apparecchio di caccia…”.
[3] Il mio più grande ringraziamento al conte Carlo Piola Caselli che mi ha permesso di consultare le relazioni conservate dall’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Aeronautica.