Avanzano. Le scuole che dicono NO alla penna sono riconosciute in 45 Stati americani.
Si intensificano le lotte tra interventisti (per l’abolizione della suddetta penna: “Il mondo va avanti… tutti comunicano con la tastiera: perché le scuole dovrebbero perdere tempo?”) e conservatori (per continuare ad usare penna e carta nell’apprendimento di base: “Perché aiuta l’apprendimento, favorisce la memoria, stimola la fantasia”… ): così, in parte, nel dibattitto infuocato apparso sul New York Times di cui dà notizia il “Venerdì” di Repubblica (1 novembre 2013).
Per fortuna, il noto pragmatismo americano (e i soldi che le università lì ancora hanno per le ricerche) fa sì che si continui a indagare sulle possibili conseguenze di una abolizione della scrittura corsiva. Per la verità, non c’è paese industrialmente sviluppato (dalla Norvegia alla Francia) che non si interroghi (con ricerche) su cosa possa significare l’abbandono della penna.
Intanto, quasi come paradosso, si accrescono gli studiosi di calligrafia: in Inghilterra, soprattutto, c’è un fiorire di inviti a conservare quella “arte di scrivere una lettera a mano” (The missing ink: the lost Art of Handwriterting …, P. Hensher). In questo l’Italia non è da meno, con l’uscita di molti testi di calligrafia e una Associazione Calligrafica Italiana quanto mai attiva.
Luca Barcellona, uno dei giovani calligrafi italiani, nel suo intervento al Festival della mente di Sarzana ha detto: “Non possiamo abolire o essere contro il concetto di comunicare con la tecnologia, il problema però è se vogliamo essere completamente sostituiti dalla tecnologia … Il rischio non è di perdere uno dei modi di comunicare, ma di perdere il contatto con la fisicità delle cose…”.