Una morte, anche quando non crea lacerazioni profonde, è sempre un grido che sferza la vita. E impone una sosta, magari una riflessione.
Se ci è stata morte clamorosa è stata quella, ‘celebrata’ in questi giorni, di Kurt Cobain, icona musicale di più generazioni. Bello, lo era, e molto. Aveva tutto quello che può essere desiderato: moglie avvenente, figlia deliziosa, successo travolgente. E si è ucciso; e dopo tanti tentativi di suicidio.
La sua ultima lettera è diventata un vero documento cult: citato, analizzato, comparato per dare senso a diversità grafiche presenti (causa anche di sospetti nei confronti della moglie).
Se oggi ne parlo è perché questo ragazzo tanto bello quanto sensibile, già 20 anni fa ha trovato le parole per dire, nel momento della verità della vita che è la morte, la tragedia di tanti giovani.
Giovani di oggi. Schiavi di un presente che li fa affogare nelle troppe emozioni, fino a far perdere loro la capacità di vivere le emozioni, di elaborarle: così impedendo a queste di diventare nutrimento, o, direbbe Damasio, “sentimento”.
Kurt sceglie quale destinatario primo della lettera non la moglie, la figlia, gli amici, ma Boddah: un amico immaginario della sua infanzia. Aveva 27 anni Kurt. E una povertà relazionale che emerge, drammatica.
“Io non provo più emozioni nell’ascoltare musica e nemmeno nel crearla e nel leggere e nello scrivere…“. Come meglio dire quello spengersi delle emozioni che può portare a malattia dell’anima, e poco importa se alcuni la chiamano “alessitimia”.
“… devo essere uno di quei narcisisti che apprezzano le cose solo quando non ci sono più”. “Ho bisogno di essere un po’ stordito per ritrovare l’entusiasmo …”. E’ il narcisismo di oggi[1], appunto. Che deve continuamente autonutrirsi, fino allo “ stordimento”: senza neppure poter diventare strumento per la costruzione di sé.
Fragile il narcisismo, come sono fragili le loro scritture: senza struttura, senza capacità di organizzare lo spazio. Come è fragile la sua scrittura.
Kurt lo sa: “Io sono troppo sensibile”. E poi, verso la fine: “Io sono troppo un bambino incostante, lunatico! E non ho più nessuna emozione”.
Ma chiede, ancora, dando voce alle vere esigenze che dovrebbero farsi desiderio di vita, “pace, amore, Empatia”.
Anna Rita Guaitoli
[1] Anna Rita Guaitoli, Adolescenti “digitali” e narcisismo. Ma quale narcisismo?, Il Giardino di Adone, n. 24