Proprio per il suo essere tanto diffuso il fenomeno bullismo rischia di banalizzarsi e normalizzarsi. Diventa però urgenza vera nella scuola, luogo privilegiato per le manifestazioni di bullismo. E si fa problematica al centro delle preoccupazioni degli insegnanti-educatori (per la verità, anche gli insegnanti-ad ore notano l’estendersi di fenomeni aggressivi e li condannano nei corridoi, magari con il profondo giudizio sociologico sintetizzabile in “che tempi viviamo”).
Quelli che chiamo “insegnanti-educatori”, consapevoli della complessità del fenomeno, intensificano la ricerca degli aiuti: spesso, però, restando ostaggio di test e conferenze generiche che poco possono fare nel concreto. […]
Il problema non è che questi strumenti siano inutili. E’ il fenomeno bullismo ad essere ampio ed intricato tanto da richiedere molteplicità di interventi sulla base di una conoscenza non semplificatoria.
Per quanto riguarda gli adulti occorre, come richiede Dan Olweus, il primo a stigmatizzare il fenomeno alla fine degli anni settanta, che questi si assumano la responsabilità di… essere adulti. […]
Ma quanto l’istituzione scuola è oggi in grado di farsi carico di questo problema; quanto capace di dare regole, inventarsi strategie? E debbo per forza pensare a tutto il sistema-scuola: perché davvero se si vuole rompere quella che viene chiamata la “congiura del silenzio” c’è bisogno del coinvolgimento responsabile di chi sorveglia i corridoi come del dirigente, del Collegio docenti come del singolo docente disponibile all’ascolto; dei genitori come dei ragazzi. […]
Per quanto riguarda gli aiuti, occorre avere consapevolezza che i piani di intervento sono lunghi e complessi: e che a nulla servono le poche ore messe a disposizione di qualche cooperativa di psicologi, o affini.
Anni di studio e di esperienza mi hanno convinto che per riuscire a fare breccia in quel muro di gomma occorre porsi obiettivi minimi ma raggiungibili con una strategia dei piccoli passi, con piccole azioni costanti e verificabili. […]
In questo senso, qualche aiuto la grafologia lo può dare.
Mi rifaccio ancora a Olweus che invita a cogliere sul nascere i segnali di allarme: e la grafologia è davvero strumento prezioso per “ascoltare i segnali preventivi” potendo, come sua specificità, indagare il tracciato grafico per rilevare la presenza di autostima, le capacità di adattamento, con particolare riferimento alle modalità relazionali. […]
Anna Rita Guaitoli – Dall’articolo su “L’Eco della scuola nuova”, 2007