Alla ricerca di un matrimonio difficile. Tra carta e ‘pennetta’.

Già: tra scrittura a mano e quella digitale sarà mai possibile un incontro?

La bellezza delle lettere scritte, capaci di veicolare emozioni e far lavorare tutta la rete del cervello, dovrebbe essere ormai realtà assodata. Di certo, è realtà su cui da sempre insisto, e non solo in questo ‘cantuccio’. Prestigiose associazioni, del resto, si stanno attivando per la “difesa del corsivo”, e comunque della scrittura a mano: penso alla associazione americana “National Handwriting”; penso all’Istituto Grafologico Moretti che al corsivo ha dedicato un numero intero (173-174) della rivista ‘Scrittura’. E’, del resto, questione che comincia ad essere avvertita con urgenza: a Milano, mentre scrivo, l’Associazione Calligrafica Italiana va ad organizzare un convegno dall’eloquente titolo “La scrittura a mano ha un futuro?”.

Sempre alla ricerca di notizie che facciano crescere la speranza di un mondo in armonia tra eredità e novità, mi appello alla Moleskine, l’azienda italiana che nel 1997 ha rilanciato il leggendario taccuino usato da Chatwin e Hemingway. Mentre le loro collezioni cartacee crescono “di anno in anno a doppia cifra”, l’ultima novità spinge verso quel ‘matrimonio’ auspicato nel titolo. Lo Smart Writing Set (un kit composto da un tablet che è un taccuino dalle pagine puntinate e bordi arrotondati e da una penna intelligentissima che per peso e forma sembra una normale penna a sfera) è il sistema che sembra agganciare l’esperienza meravigliosa (e comodissima) dello scrivere su carta a un file da inserire in un documento digitale.

Libertà di stesura che è libertà di pensiero”, afferma una nota pubblicitaria. E questo a me (e spero a tanti) è ciò che preme.

Al di là dei difetti notati dagli esperti (e dai consumatori, visto il prezzo), il matrimonio tra analogico e digitale, seppure di ‘prova’, insomma, si può tentare.

Anna Rita Guaitoli

Una officina per la scrittura

“Il potere dei segni” si intitola un articolo apparso poco tempo fa su “Repubblica”. E come non poteva affascinarmi, visto che si parla di segni scritti?

Nel concreto, si annunciava l’apertura di una “Officina della scrittura” voluta dal signore delle penne: Cesare Verona, presidente di Aurora Penne, appassionato collezionista di tutto ciò che è collegato al “segno dell’uomo”.

Mi commuove che nella brochure sia indicata la scrittura come “esperienza emozionale e concreta”: già, perché questo, il segno scritto, comporta. Forse – per tornare al titolo dell’articolo – ‘potere’ in quanto ricchezza da spendere, no. Ma potere in quanto capacità di trasmettere la ricchezza emozionale, il segno scritto con la penna (magari l’Aurora, eccellenza delle eccellenze italiane) altroché se lo fa.

E’ bello, appagante, costatare che anche in chi studioso del segno grafico non è (ma uomo di grande sensibilità, evidentemente, sì) si affermi la consapevolezza che non bisogna dimenticare di conoscere e “studiare discipline che mantengono il loro fascino e la loro importanza anche in un’epoca digitale e tecnologizzata come quella attuale”. Tra loro, viene esplicitato, la grafologia.

Anna Rita Guaitoli

Anche le regine disegnano

Si è parlato tanto in questi giorni della Regina Elisabetta e dei suoi meravigliosi 90 anni che portano sulle spalle tanti anni di regno, più della famosissima Regina Vittoria.

Ecco: è proprio così che, a modo mio, voglio renderle omaggio nel mio ‘cantuccio’: ricordando una Vittoria-brava-malinconica-bambina che usava con perizia carta penna e matita.

In recente viaggio in una Londra eccitata dalla ricorrenza, ho trovato un libro incantevole, che parla di bambini di tanti anni fa. Ma anche del desiderio di sempre dei bambini: scrivere e disegnare per rappresentare il mondo che conoscono, e quello che vorrebbero.

Scritto dalla bambina Alexandrina Victoria di “10 anni e tre quarti”, si intitola “Le avventure di Alice Laselles”, e racconta le vicissitudini di una bambina mandata dai genitori a studiare in un collegio contro la sua volontà. Una bambina che, guarda caso, si chiama come la “Alice” di Carroll: il che ci porta a pensare alle avventure-rivelazioni di chi cresce; che racconta le difficoltà di una bimba orfana di padre ma con matrigna: lei, Vittoria, in realtà aveva perso il padre tanto amato. La severità però c’è: anche se nella vita reale sarà la mamma ad esercitarla per educare la bambina Vittoria al suo destino di regina. E che Regina sarà.

Intanto, però, scrive “Oh do not send me away dear Pappa… o let me stay with you” (Oh no, non mandarmi via caro Papi, ….lasciami rimanere con te!).

E io regalo ai mei lettori questo disegno che racconta – in modo un po’ ingenuo ma anche con una certa forza drammatica – tutti quei sentimenti, anche contraddittori, di una bambina legata al papà che non ha più.

cantuccio

Anna Rita Guaitoli

Intorno a Pasqua

E’ un po’ diminuita, ringraziamo la divinità qualsiasi si voglia, l’epidemia di cartoline augurali tramite rete.

Carine, per carità. Ma che non amo troppo. Le scegliamo, come le altre, certo. Ma non hanno l’odore di chi le scrive. Non hanno le loro… emozioni.

L’augurio nostro, ora che le feste sono finite, noi ce lo facciamo così. Per rete, ancora: come altrimenti. Con parole, però, che nascano dalla propria realtà. E, allora, al di là della Pasqua, che ci sia serenità da conquistare.

Poi, un ringraziamento particolare. Me lo ‘strappa’ quell’attrice sensibile che è Stefania Rocca. Perché, ancora una volta, ci offre il riconoscimento di come, scrivendo una lettera, si possa “pensare”, “diventare più profondi”. E la scrittura con penna e carta le diventa necessaria non solo per le lettere d’amore: la usa, infatti, anche per “entrare nei personaggi”…

Grazie, allora a Stefania, che attraverso la firma ci comunica la sua sensibilità e la voglia di sperimentare; la voglia di esserci e la capacità di accogliere; la confusione, anche, che può derivare da tanto fare e da una insaziabile curiosità. Di sé e del mondo.

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Anna Rita Guaitoli

Non solo carta e penna… ma corsivo

Inizio la mia breve riflessione in un modo un po’ contorto. Parto dalla parola tedesca Schadenfreude: formata da Schaden (danno) e Freude (gioia) indica il piacere che si prova di fronte alle sventure che capitano agli altri.

Ora ditemi come sia possibile con le famose faccette descrivere questa emozione. Ché è una emozione complessa, per la cui descrizione occorrono più parole: c’è insoddisfazione di sé, risentimento, paura del confronto, rivendicazione, non-empatia. Invidia, ma non solo.

La conseguenza sillogistica del ragionamento dovrebbe portare all’affermazione che nella scrittura in corsivo si possa rilevare la Schadenfreude. Non è così, ovviamente. Ma che nella scrittura corsiva si possano evidenziare le emozioni e le complesse dinamiche che ad esse si innestano, sì. Se c’è una necessità, oggi, per i giovani, è dare spazio alle loro VERE emozioni. Non quelle che aggiornano sui social ogni giorno, dove bisogna apparire al meglio, o al peggio: comunque in una esibizione che susciti interesse (e il ‘mi piace’).

Prendiamo questo grafismo con forme contorte e curve, larghezze e strettezze, un tratto forte che si rivela spasmodico nell’appoggio e nella conduzione: sarà di certo espressione di confusione e voglia di esserci, di insicurezza e desiderio di fare, di una immagine di sé turbata, di un adattamento non facile per difficoltà di comprensione e interazione. Se poi, il corsivo contraddittorio e aspro del ragazzo diciottenne – che di certo dimostra come chi scrive sia agito da diverse tensioni – possa rivelare il sentimento complesso della Schadenfreude. …. perché no.

Senza titolo1

 Anna Rita Guaitoli

Solo carta e penna, please.

Va bene: è una affermazione che spesso, in un modo o nell’altro, rinnovo. Ma che valore avrebbe riproporre questa esortazione, ancora? Quale ulteriore spinta alla riflessione potrebbe dare?

In effetti, la posso ri-proporre perché a dire tali parole, questa volta, è Bruno Giussani, classe 1964, “guru di TEDGlobal”, “tra i 100 uomini più influenti d’Europa” (così le indicazioni nella intervista a “La Repubblica” del 30 luglio anno corrente).

Giussani, origini bergamasche e formazione svizzera, analizza in modo assai preciso, e sorprendente, le conseguenze dell’adeguarsi ai comandamenti (velocità, brevità) dettati dai Social Network: incapacità di aspettare; perdita di attenzione; difficoltà ad elaborare il pensiero; bisogno di gratifica immediata. Tutte caratteristiche che, in effetti, già ho osservato negli adolescenti 2.0, e che vanno a giustificare troppi tracciati grafici sempre più privi di solidità.

Giussani, dunque, cofondatore di due compagnie internet (Tinet e Tinext), giornalista che ha collaborato con il New York Times e l’Economist, a giugno, nel TEDGlobal di Londra, ha obbligato l’uso di solo carta e penna. Commenta riconoscendo come, sì, c’è stata un po’ di “perdita di visibilità su Twitter, ma abbiamo guadagnato in attenzione”. Se non fosse sufficiente, aggiunge, “la distrazione è una piaga sociale”.

Non credo ci sia altro da aggiungere, se non ricordare “solo carta e penna, please”.

Anna Rita Guaitoli