E vince la tartaruga

Un gentile lettore del mio cantuccio ultimo (Leggere lentamente, attentamente), mi ha segnalato un libro “vecchio”: 2004, Sonzogno editore, “… E VINSE LA TARTARUGA. 
Elogio della lentezza: rallentare per vivere meglio” di Carl Honoré.

Non lo conoscevo. E mi è piaciuto: perché l’autore, un giornalista canadese, riesce a proporre un progetto che si fa “rivoluzionario” nell’essere condotto senza isterismi. Il suo è un invito a non cedere del tutto al dogma della velocità imposto dalla concitazione del tempo nostro che rischia di annullare… il tempo. Tutto, ormai, è contenuto in un gigantesco “attimo” che non può accettare buchi, pause.

Il messaggio diventa ‘rivoluzionario’ nella consapevolezza del rischio che si accompagna alla sollecitazione a non perdere ciò che le conquiste della tecnologia hanno concesso. E’ sufficiente, in fin dei conti, imparare a vivere slow, a ritagliarsi degli spazi: lavorare a maglia, curare le piante, cucinare. E magari scrivere, a mano, con lentezza, come si è tante volte detto; o con lentezza leggere.

Quando, come accaduto a Honoré, si sta per comprare il libro che riassume in 60 secondi la favola “della buona notte”, si è troppo vicini all’abisso in cui qualsiasi valore è sacrificato sull’altare della Velocità. Honoré se ne è accorto, si è fermato, ha preso un anno sabbatico, ha scritto il libro. Ha ricominciato a leggere al bimbo amato la favola tutta, perché lui possa riconoscervi le proprie emozioni, arricchire il patrimonio linguistico, sviluppare attenzione e concentrazione…

Lungo sarebbe l’elenco delle ricchezze apportate dalla lettura regalata dai genitori, peraltro stigmatizzate da numerose ricerche che hanno spinto ad attivare iniziative (Reach out and Read negli Stati Uniti, Bookstart in Gran Bretagna, Stiftung Lesen in Germania; ma anche in Italia Nati per leggere) proprio per sollecitare i genitori a non rinunciare a 10 minuti di lenta lettura ad alta voce.

Non c’è dubbio: attraverso la voce che si riscalda, rallenta, si fa sottile, si ferma, viene ad intensificarsi il legame tra adulto e bambino. Soprattutto, nel ritmo rallentato, il bimbo riuscirà a portare quel mondo che non esiste, nel suo mondo che esiste. Riuscirà a confrontare le sue angosce; incontrerà mostri, streghe, Mangiafuoco: e imparerà a progettare per vincerli.

Anna Rita Guaitoli

Leggere lentamente, attentamente…

Questa volta non è uno scrittore un po’ nostalgico (poteva esserlo, per alcuni Donna Tartt), o uno scrittore un po’ agé (che so, potrei ricordare come in una recente intervista il Nobel Patrick Modiano affermava: “Ho bisogno della lentezza, e per questo scrivo a mano”), a richiamare l’attenzione sulla lentezza quale chiave di processi mentali e di stile di vita che sempre più si stanno perdendo.

A voler tornare “nel mondo reale”, è Andrew Sullivan, uno dei “padri” dell’informazione digitale: il suo blog, The Dish, già iniziato nel 2000; ormai, con un milione di contatti al mese; e un milione di dollari di fatturato all’anno.

Questa scelta, “Basta con il digitale”, resa nota attraverso un comunicato ufficiale, ha suscitato un po’ di scalpore, e tanti commenti. Ci sono affermazioni, in quel messaggio, che, in effetti, sembrano avere in sé un potenziale rivoluzionario. “Sento il bisogno di forme più antiche. Voglio avere un’idea, e lasciare che prenda forma lentamente…”. “Voglio trascorrere del tempo vero con i miei… rinfrescare le amicizie”.

Forse, però, se imparassimo di nuovo a ragionare senza paraocchi, senza dover per forza apparire ‘moderni’, o senza la paura di essere ‘antichi’, capiremmo che c’è solo del buon senso in queste affermazioni. “E voglio stare bene … I medici mi hanno detto che [i miei malanni] sono semplicemente il frutto di quindici anni di stress, sempre online, ogni ora…”.

Basterebbe, appunto, ragionare con lentezza.

Anna Rita Guaitoli

Il corsivo per creare. E riflettere

Novecento pagine. A mano. In corsivo. Lo confessa in interviste date per pubblicizzare il terzo romanzo, Il cardellino (Rizzoli), Donna Tartt, la scrittrice ormai famosa, Premio Pulitzer per la narrativa. Le sue parole (prendo appunti su appunti e riscrivo a mano l’intero libro parecchie volte….) passano attraverso i media: ripetute come un mantra, sembrano suscitare una curiosità mista di sorpresa. In corsivo? Oggi? E il computer, una della classe 1963, dove lo lascia?

Non lo lascia. Lo usa, come si deve fare: “poi trasferisco tutto sul computer, digito io e via via correggo, inserisco altre cose, modifico…”.

Prima, però: la scelta dei taccuini. Una ‘cosa’ preziosa di carta: “taccuini che scelgo con particolare attenzione. Ne ho delle vere pile…”. Li conserva in una stanza, “dove non faccio entrare nessuno, neanche la donna delle pulizie”. Lì, come in un tempio, si raccoglie per le riflessioni finali: “E per tutto quel periodo sto isolata in una stanza. È la stanza del manoscritto”.

Le affermazioni della schiva, un po’ misteriosa, scrittrice americana, un libro ogni dieci anni, e fatto a mano, riaffermano il valore della lentezza nella stesura di una opera e, insieme, sono un vero regalo per chi sa quanto il corsivo permetta di aiutare la memoria, la riflessione: quel legame tra le lettere è come un filo sottile che collegando i punti nodali della rete mentale, attiva varie competenze intellettive. Recentemente, due studiosi (P.A.Mueller, Princeton University, Psychology Department; D. M. Oppenheimer, University of California, Los Angeles) hanno ancora una volta dimostrato i vantaggi della scrittura a mano con una ricerca che ha permesso di identificare come così si ottimizzino i processi di riflessione, di migliore comprensione, di memoria. Insomma, The Pen Is Mightier Than the Keyboard Advantages of Longhand Over Laptop Note Taking (La penna è più potente della tastiera. I vantaggi della scrittura rispetto agli appunti sul tablet).

Ciò che dice la Tartt, e soprattutto ciò che fa, sono regalo anche per chi crede nel silenzioso racconto che passa per il tracciato. Le lettere legate fra loro, corrono a disegnare parole che veicolano, oltre che pensieri, emozioni. Scorre, quel filo, (in fin dei conti “corsivo”, che viene dal latino currere, significa appunto questo), con più o meno fluidità, con più o meno pressione, con più o meno destrezza: e proprio nell’incepparsi, nell’appesantirsi in ingorghi, nel cedere sul rigo, permette a chi scrive di dire sofferenze, paure, ricordi che fanno tremare dentro. Tutto quello che non sa dire con le parole.

Anna Rita Guaitoli

Non solo faccine…

E sì, sono carine le nuove faccine.

faccina cantuccio

Ed è simpatico usarle, così a rafforzare il messaggio.

Ma i canali della comunicazione, come sa chi di comunicazione si intende, non si riducono a quello iconico, o verbale. C’è il canale sonoro, ma soprattutto, quello tattile, gestuale, prossemico. Canali che per essere attivati hanno bisogno della presenza. Fisica. Bisogna stare davanti agli occhi che sfuggono, al viso che si imporpora, alle mani che tremano, al sorriso che si apre dolce.

E bisogna vedere la parola scritta: vedere il colore del tratto, la fermezza del gesto, come la parola si allarga sul foglio, come oscillano i suoi assi…: anche  questa è relazione.

Con le “faccine”, magari anche coadiuvate dalle parole, si possono comunicare delle emozioni vaghe, legate al singolo momento, a stati d’animo fluttuanti. Delle emozioni on-line, appunto. In realtà le emozioni per metterci davvero in contatto con gli altri debbono attivare la complessa rete del cervello tutto (non solo di quello “emotivo”, direbbero gli esperti delle neuroscienze).

Forse è tornato il momento di lasciare ai creativi le loro creazioni: guardiamole, le faccine, sorridiamo con loro; non rubiamole. Intanto, riappropriamoci delle nostre parole, della nostra sintassi. Della nostra grafia.

ti prego anna rita

I compagni di scuola. E il diario.

C’era una volta… il diario.

La scuola sta per finire. Oggi come ieri, i saluti, una qualche eccitazione. Oggi, molti scherzi e molti lanci (acqua, farina, uova…). Ieri, disegni, frasi e poesie scritte sul diario dai compagni più cari.

Scegliere il “compagno” (di cuore, come si diceva una volta, o di banco che sia) significa per un adolescente operare una selezione che agli adulti passa inosservata, al più appare come un capriccio. Eppure è una scelta che investe dinamiche complesse di relazione in chi, per crescere, deve trovare un riscontro ai propri bisogni profondi negli occhi di un altro.

E’ recente la statistica per cui nove ragazzi su dieci della terza media non hanno più l’amico del cuore. Quanto questo costi in termini di confronto, di maturità sociale, non è qui da affrontare.

Anche perché mi voglio regalare la “conquista” di un diario, trovato per caso, lì, in un banco del mercatino antiquario. E voglio mandare il pensiero ad una sconosciuta Carla, classe quarta, sezione B, 1952-1954.

Chissà dove sei, Carla. Il tuo diario porta il ricordo della mia infanzia, con le scritture accurate che lasciano dediche gentili e disegni sereni nella speranza che sollecitino un felice, duraturo, ricordo.

diario 1

Sarà stata così, la tua vita, come ti augura il 6 maggio 1954 (hai finito le elementari; hai cambiato scuola?) la maestra Olga?

diario 2

Che le immagini, e le grafie, ci addolciscano il cuore.

Kurt Cobain, e le emozioni

Una morte, anche quando non crea lacerazioni profonde, è sempre un grido che sferza la vita. E impone una sosta, magari una riflessione.

Se ci è stata morte clamorosa è stata quella, ‘celebrata’ in questi giorni, di Kurt Cobain, icona musicale di più generazioni. Bello, lo era, e molto. Aveva tutto quello che può essere desiderato: moglie avvenente, figlia deliziosa, successo travolgente. E si è ucciso; e dopo tanti tentativi di suicidio.

La sua ultima lettera è diventata un vero documento cult: citato, analizzato, comparato per dare senso a diversità grafiche presenti (causa anche di sospetti nei confronti della moglie).

Se oggi ne parlo è perché questo ragazzo tanto bello quanto sensibile, già 20 anni fa ha trovato le parole per dire, nel momento della verità della vita che è la morte, la tragedia di tanti giovani.

Giovani di oggi. Schiavi di un presente che li fa affogare nelle troppe emozioni, fino a far perdere loro la capacità di vivere le emozioni, di elaborarle: così impedendo a queste di diventare nutrimento, o, direbbe Damasio, “sentimento”.

Kurt sceglie quale destinatario primo della lettera non la moglie, la figlia, gli amici, ma Boddah: un amico immaginario della sua infanzia. Aveva 27 anni Kurt. E una povertà relazionale che emerge, drammatica.

 “Io non provo più emozioni nell’ascoltare musica e nemmeno nel crearla e nel leggere e nello scrivere…“. Come meglio dire quello spengersi delle emozioni che può portare a malattia dell’anima, e poco importa se alcuni la chiamano “alessitimia”.

 “… devo essere uno di quei narcisisti che apprezzano le cose solo quando non ci sono più”. “Ho bisogno di essere un po’ stordito per ritrovare l’entusiasmo …”. E’ il narcisismo di oggi[1], appunto. Che deve continuamente autonutrirsi, fino allo “ stordimento”: senza neppure poter diventare strumento per la costruzione di sé.

Fragile il narcisismo, come sono fragili le loro scritture: senza struttura, senza capacità di organizzare lo spazio. Come è fragile la sua scrittura.

Kurt lo sa: “Io sono troppo sensibile”. E poi, verso la fine: “Io sono troppo un bambino incostante, lunatico! E non ho più nessuna emozione”.

kurt kobain 2

Ma chiede, ancora, dando voce alle vere esigenze che dovrebbero farsi desiderio di vita, “pace, amore, Empatia”.

 Anna Rita Guaitoli


[1] Anna Rita Guaitoli, Adolescenti “digitali” e narcisismo. Ma quale narcisismo?, Il Giardino di Adone, n. 24