Articolo tratto da“Scrittura”, n. 176, 2017
Uno studio condotto dall’Università del Maryland ha interessato studenti provenienti da 12 università di tutto il mondo: a loro è stato chiesto di trascorrere 24 intere ore lontano da tutti i dispositivi elettronici (pc, cellulari, iPod, televisione …). Sono stati registrati veri e propri sintomi di astinenza, tra cui ansia, irrequietezza, senso di isolamento. Si è così evidenziato un disturbo definito Information Deprivation Disorder. E’ in realtà, questo, un disturbo che lo psichiatra Cantelmi aveva diagnostico in dieci casi già nel 2000: e oggi sono stati aperti reparti specialistici negli ospedali. La Società di Pediatria – per restare in Italia – ha lanciato un allarme di dipendenza che riguarda (almeno) 5000 giovani.
Cominciamo da qui, allora, ma non prima di aver ricordato che (ultimo rapporto Censis sulla comunicazione) il 94% dei giovani italiani naviga in Internet; l’88% è iscritto a Facebook. Il 15% dei bambini di 9-10 anni e il 52% dei ragazzi di 11-12 anni hanno già un profilo sui siti di social network (ha un profilo sui social network il 90% dei ragazzi italiani di 13-14 anni e il 93% dei 15-16enni); che almeno per 4 ore al giorno mandano “messaggini” (magari mettendo in una busta lo smartphone: così, almeno, per fare una doccia); e che il 56% mantiene il “controllo” della pagina facebook tutto il giorno.
Di fronte a questa realtà quei grafologi (almeno) che vogliono stare a contatto con le scritture adolescenziali sono costretti a fare i conti.
Il rischio, altrimenti, è troppo grande: che si continuino a proporre schemini non più efficaci ad entrare in contatto con adolescenti nati alla fine degli anni ’80 ma, soprattutto, con quelli nati alla fine degli anni ’90. Questi adolescenti, in particolare, chiamati “generazione 2.0” (o più semplicemente, “nativi digitali”), sono quelli che nella comunicazione mediatica più vengono definiti narcisisti.
Già, ma quale narcisismo sarà il loro, e quello dei fratelli appena un po’ più grandi, “millenials” o “spuri” che siano? Siamo sicuri che bisogna fermarsi al concetto del troppo amore di me?
Anna Rita Guaitoli – Dall’articolo pubblicato nella rivista “Il Giardino di Adone”, n. 24
I brufoli degli adolescenti di oggi sono gli stessi di quelli di ieri, scrivevo in “Ascoltare il segno..”[1]. In effetti quella anormalità che è normalità, come definiva l’adolescenza Anna Freud, comincia con un discorso di biologia e finisce nel sistema culturale.
In quanto fenomeno biologico, è un appuntamento ineludibile dal punto di vista di vista fisiologico di per sé sconvolgente per i cambianti fisici e pulsionali che comporta. In quanto fenomeno culturale, vede giocare i fattori diversi che vanno a significare ogni società, in ogni tempo (compreso l’aumento dei tassi di disoccupazione, il cambiamento dei ruoli in famiglia…).
Per gli adolescenti, rimangono da affrontare, inalterate, le principali problematiche, tutte collegate alla soddisfazione del compito primo di questa fase che è la conquista della propria identità, la cui ricerca è segnata, come ci ha insegnato Erikson[2], dalla necessità della sperimentazione e della provvisorietà. Di diverso c’è il tempo della sperimentazione che di fatto si è allungato tanto da far parlare di adolescenza interminabile.
Così, per chi deve interpretare le scritture adolescenziali la difficoltà dell’analisi si è fatta sempre più ardua.
L’esperienza di chi è a contatto con le grafie adolescenziali ha da tempo avvertito le trasformazioni in atto che hanno portato a prevalere le brutte grafie con perturbazione dei ritmi di spazio e movimento, forme maldestre, confuse. La discussione se si tratti di disgrafia è tutta aperta. Una difficoltà alla comunicazione, è certezza immediata.
Non sta a me affrontare le cause: posso solo ri-proporre come spunto di riflessione urgente le modalità attuali eccessivamente permissive nell’apprendimento del gesto scrittorio.
Non è facile comunque, è vero, l’analisi delle scritture adolescenziali.
Due, almeno, gli avvertimenti che ritengo necessario ricordare ogni volta:
a) in tutta la fase evolutiva il discorso in itinere diventa quasi obbligatorio;
b) nella fase più propriamente adolescenziale da considerare sarà soprattutto l’ambivalenza[3].
Due esempi di seguito:
(le scritture sono prese dal libro di Anna Rita Guaitoli Ascoltare il segno. Per un dialogo silenzioso con la scrittura dell’adolescente, Roma, Borla, 1999)
[1] Anna Rita Guaitoli, A.Orlandi, Ascoltare il segno. Per un dialogo silenzioso con la scrittura dell’adolescente, Roma, Borla, 1999
[2] Per approfondimenti sulle teorie principali che riguardano l’età adolescenziale vedi: Anna Rita Guaitoli in Identità, scrittura e segni, (Guaitoli, Manetti), Roma, CE.DI.S, 2005
[3] Anna Rita Guaitoli, Riflessioni sull’ambivalenza e proposte operative, “Il Giardino di Adone”, n.5
Di fronte alla sempre maggiore frequenza nelle scritture di oggi del modello script (per semplificazione: considereremo sotto questa voce sia lo script in cui permane la presenza della zona minuscola, sia il tipografico con le lettere tutte maiuscole, sia -quello oggi prevalente- misto di lettere corsive e non), due sono le domande che bisogna porsi: dal punto di vista più strettamente sociologico, fino a che punto si sta estendendo; dal punto di vista specificatamente grafologico, come poterlo analizzare.
Per qualunque prospettiva di analisi, rimane la domanda fondamentale: perché?
Intanto alcuni dati. Nell’ultima inchiesta francese sulle scritture degli adolescenti (1997) lo script era presente nel 23% delle scritture dell’ultimo anno scolastico, con forte aumento rispetto alla precedente degli anni ‘80.
Oggi, l’aumento è percepibile facilmente nell’esperienza di tutti. E comunque su 350 scritture di ragazzi dai 14 ai 19 anni da me analizzate negli ultimi tre anni scolastici ho riscontrato una percentuale del 60% nel biennio (14/16 anni) e del 37% nel triennio (16/19 anni).
Pur tenendo presente, dunque, caratteristiche specifiche della fase evolutiva quali transitorietà, spinta dell’imitazione, necessità avvertita di chiarezza, è innegabile che lo script si stia affermando come modello che va a soppiantare quello dominante fino a qualche anno fa, molto tondo, gonfio, con cerchietti al posto dei puntini.
Il peso della sua frequenza ci impone di non risolvere l’analisi di uno script con sbrigatività e ci costringe a superare la visione tradizionale per cui questa scelta grafica, in quanto povera di movimento, sia solo una bizzarria; e in quanto “maschera”, rappresenti una costruzione falsa di sé.
[…]
Sarà da capire allora quali possano essere le motivazioni generali possibili dietro questa scelta. Mi è sembrato utile per una analisi non astratta, fare riferimento alla collaudata teoria di Maslow […] Ricordiamo anche che i bisogni, come tali, mettono in moto le motivazioni: quelle motivazioni che, a loro volta, attiveranno dei comportamenti ritenuti opportuni e funzionali alla soddisfazione dei bisogni stessi.
[…]
Questo è stato e questo è. Non possiamo però, in quanto a contatto con i ragazzi e in quanto studiosi di comportamenti, non interrogarci sull’uso sempre più frequente dello script, cercandone i perché.
Una delle risposte che si può proporre in aggiunta a quelle sopra esposte è che nel momento in cui i modelli relativi all’identità collettiva risultano più fragili, più difficile diventa, per questi nostri adolescenti, la conquista di identità. […]
Ritornando nell’ambito del nostro specifico, una tale realtà sociologicamente macroscopica non potrà che spingerci a porre nuova attenzione agli elementi grafici da valutare superando le cautele, se non le critiche, di chi analizzava nel passato questa modalità scrittoria allora rara, sottolineandone monotonia, gesto spezzato, povertà di movimento. Dal punto di vista dell’analisi, lo sguardo si dovrà fare attento al tracciato […]
Non basterà certo mettere delle croci su qualche griglia per cercare il “perché” di quel comportamento grafico. Solo la capacità di valutare le sfumature, di cogliere il dosaggio dei pesi in gioco, permetterà al grafologo di entrare nella struttura intima e intercettare il senso di quel conflitto di forze che ha dato l’avvio alla costruzione di tanta armatura di difesa. Una armatura che, comunque, permette di esserci.
Anna Rita Guaitoli – Dalla relazione nella giornata di studio e di aggiornamento dell’AGP Lazio “ L’immagine e l’identità di sé nella scrittura spontanea e in quella artificiosa” (Roma, 13 novembre 2005).
“..Già l’individuo normale ha talvolta l’impressione di aver due anime, paventa un evento e desidera che accada..”
Così si esprimeva Bleuler nella definizione ormai classica dell’ambivalenza citata anche da Pulver, il quale Pulver ha dato della stessa una trattazione da ritenere ancora stimolante sia nelle riflessioni generali, sia nell’individuazione delle espressioni grafiche. Soprattutto, vorrei non si dimenticasse che lo studioso svizzero ha sottolineato le potenzialità di arricchimento presenti nel contrasto di forze. La connotazione negativa del termine oggi dominante, infatti, fa dimenticare la ricchezza che una dinamica interna di forze può portare […]
Il fatto che il concetto definito da Bleuler sin dal 1910 abbia avuto successo, significa evidentemente che è riuscito a cogliere un aspetto importante e comune della vita psichica. Come sempre, però, il successo comporta semplificazioni, e talvolta banalizzazioni.
[…]
Se vogliamo sintetizzare tra le diverse definizioni possibili, potremmo dire che la sua caratteristica specifica consiste nella simultaneità e indissociabilità delle attitudini o sentimenti opposti nei confronti di uno stesso oggetto o di una stessa situazione.
[…]
In genere, poi, ci si limita a parlare di ambivalenza per quanto riguarda la sfera affettiva: indubbiamente è questa la forma più importante, quella su cui, dice Pulver, poggiano le altre.
La teorizzazione di Bleuler individuava però oltre la sfera affettiva (amare/odiare) anche quella intellettiva (affermare/negare) e quella della volontà legata all’azione (attività/passività; volere/non volere).
[…]
…. Anna Freud riprende la definizione di Bleuler proprio nei capitoli a loro dedicati, portando a coincidere adolescenza e ambivalenza. Se questo è vero, il concetto potrebbe diventare una chiave primaria per indagare su come si sta vivendo la difficoltà dell’età.
[…]
Nel tentativo di comprendere ciò che è sottaciuto nel segno grafico delle grafie dell’età evolutiva, ho cominciato ad avviare una riflessione sulle possibilità offerte dal concetto di ambivalenza ripartendo dalla divisione iniziale di Bleuler.
Quella affettiva resta necessaria premessa delle altre, e quindi sarà inevitabilmente presente nella nostra considerazione; ma forse individuare in quale ambito giocano, e quale peso hanno, le forze altre dell’ambivalenza, in quel momento, potrebbe essere importante per meglio precisare l’intervento di aiuto. […]
Al momento, anche se non ho ancora quantificato statisticamente i segni rilevati, mi sembra che siano venute ad evidenziarsi alcune caratteristiche ricorrenti: nella grafia, così come nelle altre prove grafiche considerate, in particolare nel test dell’albero e nello scarabocchio.
[…]
III) Ai dubbi del piano intellettuale si può aggiungere una cattiva coordinazione dell’attività, oscillante tra voglia di farcela e voglia di abbandonare. Una volontà, quindi, di per sé ambivalente che rende difficile l’azione: potrebbe essere rintracciata attraverso […]
5) Nel primo esempio (grafia nera di un ragazzo di 17 anni), in un contesto di irrigidimento del movimento, alcune delle caratteristiche ricorrenti sono ben presenti, con aggiunta di elementi del ‘titubante’ morettiano.
Propongo in questo caso il primo e il terzo albero per sottolineare quegli elementi che mi sono sembrati significativi all’interno di questa problematica, quali tronco in due tratti/rami ad un tratto; tratto contorto e lento in tronco, croci nella chioma. […]
Albero 5c
[…]
Anna Rita Guaitoli – Dall’articolo sul “Il Giardino di Adone” n. 5
“Chi sei tu?”, disse il Bruco; “Io…ora come ora non saprei, signore,-rispose Alice-“ al massimo potrei dirle chi ero quando mi sono alzata stamattina, ma da allora c’é stata una tale baraonda di cambiamenti.”
Che l’adolescenza sia una “bonaccia” (Winnicott), una “seconda nascita” (Anna Freud), una catastrofe (Bion), un “breackdown evolutivo” (Laufer), é con questa irruzione di aspetti di sé molteplici e confusi che l’adolescente deve fare i conti, cercando di ripristinare quei confini tra interno ed esterno che gli sono diventati tanto labili. E’ una lotta per la conquista della sua identità che oggi, senza catastrofismi giornalistici, é indubbiamente diventata più difficile. Non sta a noi cercare le cause, ma si deve pure constatare che questi giovani debbono affrontare cambiamenti, da sempre, sconvolgenti con un minore bagaglio esperienziale di frustrazioni, gratificati come sono stati dalla famiglia e dal permissivismo sociale che ha invaso (ahimè) anche la scuola. E così mentre le pulsioni profonde rimangono più o meno le stesse, le forze dell’Io sono meno capaci di creare difese opportune facendo apparire una serie di problematiche quali borderline, falso sé, personalità imitativa.
[…]
L’interesse crescente per la grafologia dell’età dello sviluppo dovrebbe far pensare che si é finalmente pervenuti alla consapevolezza delle capacità dell’analisi grafologica nel sondare quegli aspetti affettivi-emotivi che sono parte centrale dello sviluppo. Sempre più numerosi sono i libri, i lavori di ricerca, che stanno esplorando questo terreno tanto ricco di possibilità di osservazione. Ma che può risultare anche terreno estremamente infido.
Sarà per la possibilità di spazi lavorativi, o almeno progettuali, che sembrano aprirsi all’interno dell’istituzione scuola; sarà per la facilità con cui acquisire materiale, ma questo allargarsi dell’interesse talvolta preoccupa. Non è posizione comoda sottolinearlo, ma non si può non denunciare la superficialità e l’avventurismo in cui ci si é dovuti, non proprio raramente, incontrare.
[…]
Se con assunzione di responsabilità (vogliamo dire anche etica?) non ci si garantisce dal pericolo dell’assuefazione, dell’applicazione acritica di regole tecniche, magari sapute perfettamente a memoria, si rischia di far del male alla nostra “Alice”.
Prendiamo questa scrittura di un ragazzo di 17 anni.
Se ci fermiamo ad elencare le specie, o segni, più importanti, dovremmo dare un giudizio non positivo, dovendo definirla almeno stentata, talvolta apparendo essa tormentata e comunque non dimostrando facilità di gestualità grafica. Una “brutta” grafia, senza dubbio, in cui risulta soprattutto perturbato il ritmo di forma, e comunque difficile quello di movimento. Solo la capacità di organizzare le masse grafiche all’interno dello spazio, […] ci dà indicazione delle potenzialità di questo ragazzo e delle sue possibilità di crescita.
Se poi ci fermiamo ad analizzare il suo albero (questo, e i prossimi due, con variazioni rispetto le indicazioni di Koch) avremo una visione più precisa della ricchezza delle sue risorse. […]
La fondamentale proporzione delle zone e la ricchezza della chioma danno una prima impressione di vivacità e creatività. Gli elementi sopra considerati, messi in rapporto significativo, permettono di evidenziare una variabilità di comportamento e una forte ambivalenza, con alternanza di depressione e eccitazione, di insicurezza e desiderio di mettersi in evidenza. L’ansia, da probabile choc affettivo, viene in parte controllata da una opportuna valorizzazione dell’aspetto intellettuale, non escluso quello della immaginazione. E’ importante lo sforzo di interiorizzazione compiuto per prendere atto dei propri conflitti. La presa di coscienza non svilisce la curiosità golosa che prova verso le varie attività del mondo, né mortifica il desiderio di contatti. Sognatore, sì, ma anche capace di organizzarsi e di analizzare con senso concreto una realtà che, tutto sommato, ama.
[…]
I grafologi -lo vogliamo ancora ricordare- hanno elementi importanti con cui tracciare la strada dell’incontro, ma – lo abbiamo voluto sottolineare – corrono il rischio, con giudizi superficiali e valutazioni approssimative, di allontanare la realtà di questi adolescenti.
Noi ci giochiamo in credibilità. Loro, rischiano di rimanere inascoltati e senza parole.
Anna Rita Guaitoli – Dall’articolo in: “Il Giardino di Adone”, n. 2
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