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Il bullismo come sofferenza nelle competenze relazionali
[…] Ma ormai il problema maggiore è cercare di arginare la banalizzazione del significato di questo “gioco crudele”. E tale obiettivo potrà essere realizzato solo se si avrà consapevolezza della complessità di un fenomeno sociale in così forte espansione con l’individuarne i tanti aspetti: dalla multifattorialità delle cause alla complessità del sistema relazionale in cui si attiva il fenomeno stesso. […]
Doveroso, allora, è sottolineare la importanza della dimensione sociale che fa da sfondo a questi fenomeni: il “sociale” sarà da intendersi come produzione culturale di valori (o non-valori). […]
In effetti, tutte le ricerche (e ormai sono veramente tante) vanno ad evidenziare che il bullismo si diffonde in un contesto ”favorevole”: in particolare dove la violenza è modalità culturale primaria… […]
gli adolescenti di oggi che crescono senza poter fare riferimento a griglie culturali, […] subiscono l’effetto accumulo di gesti violenti veicolati dai massmedia e dalle moderne tecnologie […] arrivando a banalizzare la violenza, a non avere più chiaro il concetto di “male”, fino a diventare indifferenti alla sofferenza degli altri. […]
Preferisco perciò sottolineare ciò che è emerso dal lavoro personale “sul campo”, e che pure era stato preso in considerazione in alcune ormai famose ricerche, in particolare del gruppo dell’Università di Firenze: forte incidenza delle distorsioni nelle competenze sociali e una scarsa competenza emotiva. Sia il bullo che la vittima, in effetti, hanno difficoltà ad identificare la reale portata della emozione dell’altro. […] Domina, soprattutto nel bullo-aggressore, l’indifferenza emotiva, quella che poi impedisce un qualsiasi pentimento, che fa perdurare atteggiamenti spavaldi da “duri”.
Ce ne dobbiamo stupire? La desensibilizzazione emotiva che si respira nei vari aspetti della società non aiuta certo i ragazzi a prendere coscienza delle proprie emozioni […] così rischiando loro un ingorgo emozionale in cui si può soffocare.
[…] Rispetto al tema specifico, il pericolo insito nella difficoltà a riconoscere le emozioni inciderà pesantemente sulle competenze relazionali. […]
Si parte da una cattiva valutazione delle situazioni per pervenire ad una modalità comportamentale dalle reazioni inopportune … o dalle risposte inadeguate …: comunque condotte in cui risultano scarse (o nulle) le competenze emotive (dal saper controllare i propri sentimenti a riconoscere quegli degli altri) e quelle sociali (da soddisfare le proprie esigenze a venire incontro alle esigenze altrui).
Anna Rita Guaitoli – Dalla relazione agli atti del Convegno dell’Arigrafmilano: “Abusi sui minori…aspetti psicologici, clinici, grafologici, giuridici” (Milano, 22/5/2010)
Il bullismo come sottocategoria della violenza
Le manifestazioni aggressive dei giovani sono sempre più numerose. O se ne parla sempre di più. Comunque sempre di più si rischia di confonderci paralizzando di conseguenza la possibilità di interventi concreti.
Perché, intanto, aggressività non è semplice sinonimo di violenza.
Perché, poi, sono diversi gli aspetti dell’aggressività come della violenza; e sono diverse le strategie possibili per un intervento di recupero.
Certo il bullismo, oggi fenomeno tanto gridato nei media ma anche realtà dolorosa di un vissuto quotidiano per troppo tempo sottovalutato, può sicuramente essere ricondotto a sottocategoria della violenza. Mai come in questo caso bisognerà cercare di capire di che tipo di violenza si tratti, a quali componenti interne ed esterne essa si affianchi. […]
Da qui a tracciare il ritratto del bullo, però, ce ne vuole. Perché non c’è un solo bullo. Ci sono, anche in rapporto alle indicazioni date in precedenza rispetto al variegato quadro dell’aggressività, tanti tipi di bullo.
Se non ho parlato sinora esplicitamente di violenza è perché questa si può considerare la forma patologica dell’aggressività. Purtroppo, e la cronaca dei giornali ne è testimonianza, proprio questa forma (anche detta di “bullismo pesante”) è quella che sempre più va estendendosi.
[…] Il bullo è comunque un elemento dell’ambiente sociale, che interagisce con tutti gli altri “elementi”. […] E la cultura del tempo nostro vede -e qui non c’è discussione- una diffusa “cultura della violenza” evidentemente collegata ad una vera “emergenza educativa”.
[…] Ritornando allo specifico, proprio per evitare i nefasti “schemini”, si può, invece, provare a tracciare un profilo di personalità che permetta la identificazione di uno stile comportamentale che contraddistingua il bullo. Ma sempre in rapporto ai diversi tipi di aggressività.
[…] Traducendo immediatamente queste riflessioni in campo grafologico, sarà davvero difficile, a meno di non volere andare alla ricerca di una fantomatica ‘scrittura del bullo’, trovare un modello unico di grafia.
[…] Dovrebbe, invece, diventare conseguenza logica delle precedenti riflessioni la ricerca orientata ad evidenziare sindromi che possano indicare comportamenti segnati dai bisogni che spingono all’atto […] .
Anna Rita Guaitoli – Dalla relazione al convegno “Manifestazioni dinamiche della violenza attraverso la scrittura” (Trieste, maggio 2011); rivista “Rassegna di grafologia” n.3, 2011
Bullismo e scuola
Proprio per il suo essere tanto diffuso il fenomeno bullismo rischia di banalizzarsi e normalizzarsi. Diventa però urgenza vera nella scuola, luogo privilegiato per le manifestazioni di bullismo. E si fa problematica al centro delle preoccupazioni degli insegnanti-educatori (per la verità, anche gli insegnanti-ad ore notano l’estendersi di fenomeni aggressivi e li condannano nei corridoi, magari con il profondo giudizio sociologico sintetizzabile in “che tempi viviamo”).
Quelli che chiamo “insegnanti-educatori”, consapevoli della complessità del fenomeno, intensificano la ricerca degli aiuti: spesso, però, restando ostaggio di test e conferenze generiche che poco possono fare nel concreto. […]
Il problema non è che questi strumenti siano inutili. E’ il fenomeno bullismo ad essere ampio ed intricato tanto da richiedere molteplicità di interventi sulla base di una conoscenza non semplificatoria.
Per quanto riguarda gli adulti occorre, come richiede Dan Olweus, il primo a stigmatizzare il fenomeno alla fine degli anni settanta, che questi si assumano la responsabilità di… essere adulti. […]
Ma quanto l’istituzione scuola è oggi in grado di farsi carico di questo problema; quanto capace di dare regole, inventarsi strategie? E debbo per forza pensare a tutto il sistema-scuola: perché davvero se si vuole rompere quella che viene chiamata la “congiura del silenzio” c’è bisogno del coinvolgimento responsabile di chi sorveglia i corridoi come del dirigente, del Collegio docenti come del singolo docente disponibile all’ascolto; dei genitori come dei ragazzi. […]
Per quanto riguarda gli aiuti, occorre avere consapevolezza che i piani di intervento sono lunghi e complessi: e che a nulla servono le poche ore messe a disposizione di qualche cooperativa di psicologi, o affini.
Anni di studio e di esperienza mi hanno convinto che per riuscire a fare breccia in quel muro di gomma occorre porsi obiettivi minimi ma raggiungibili con una strategia dei piccoli passi, con piccole azioni costanti e verificabili. […]
In questo senso, qualche aiuto la grafologia lo può dare.
Mi rifaccio ancora a Olweus che invita a cogliere sul nascere i segnali di allarme: e la grafologia è davvero strumento prezioso per “ascoltare i segnali preventivi” potendo, come sua specificità, indagare il tracciato grafico per rilevare la presenza di autostima, le capacità di adattamento, con particolare riferimento alle modalità relazionali. […]
Anna Rita Guaitoli – Dall’articolo su “L’Eco della scuola nuova”, 2007
Sulle competenze relazionali
E’ ora di riflettere sul perché il problema delle dinamiche relazionali sia diventato centrale nella formazione dei docenti.
Intanto, perché é una delle necessità emerse all’interno degli sconvolgimenti profondi che vive la società odierna. Non possiamo qui fare una analisi sociologica, ma vorrà dire qualcosa il disagio mentale cresciuto a dismisura interessando, nelle sue varie forme (dai disturbi del sonno, agli attacchi di panico, ai disturbi alimentari, all’abuso di sostanze, alle psicosi) una famiglia su due […]. Può far sorridere, seppure amaramente, la notizia che molte regioni hanno indetto dei veri e propri “master” per i genitori, affinché apprendano a …fare i genitori ; se proprio non ci si riesce si potrà chiedere aiuto al Consulente nelle Interazioni familiari, preparato da un corso di laurea organizzato dall’Università di Torino, facoltà delle Scienze della Formazione. Compito per tutti: l’attenzione da prestare ai figli, i loro bisogni da riconoscere, le relazioni da recuperare.
In secondo luogo, perché l’importanza data alla problematica relazionale rappresenta l’aspetto innovativo più clamoroso della ricerca scientifica: la neurobiologia ha spostato l’accento sulla rilevanza delle relazioni umane, tanto da poter parlare di mente relazionale.[…] Un felice rapporto didattico, per esempio, può fare triplicare il numero delle connessioni sinaptiche (oltre a favorire l’apprendimento), e relazioni positive (il sorriso e le carezze preverbali, ma anche le “parole“ dell’adulto pronto ad ascoltare) aiutano a riparare i danni che eventi stressanti nei primi periodi di vita hanno creato.
Infine perché i giovani, i cui bisogni evolutivi sono quelli di sempre, incontrano maggiore difficoltà alla costruzione dell’identità proprio per le non soddisfacenti esperienze relazionali primarie che li chiudono in un “analfabetismo emotivo” […] Secondo i dati distribuiti ad aprile dall’Oms, il 20% dei giovani soffre di disturbi mentali mentre si abbassa l’età di insorgenza del disturbo tanto che il 3% dei bambini soffre di fenomeni depressivi (Convegno sulla salute mentale in età evolutiva, Roma, 7/4/2001). […]
Da sempre l’insegnamento è un lavoro ad alto tasso di relazionalità, […] finora è stato lasciato da gestire alla buona volontà (o al buon carattere) del singolo, ma è sempre più forte l’urgenza di recuperare questa dimensione relazionale-affettiva nell’ottica di una professionalità diversa che sappia ricercare strumenti idonei […] nella consapevolezza che la relazione non è problema solo di comunicazione: o, per meglio dire, il problema è a monte di quello della comunicazione, ed è un problema di attenzione, prima, di ascolto, poi.
Anche questa precisazione non basta. Perchè non basta ascoltare: c’è bisogno di quello che, da Rogers in poi, si chiama ascolto attivo […]: un ‘ascolto’ che sappia utilizzare gli elementi comunicativi presenti anche nel linguaggio non verbale o para-verbale. “Ascoltare il segno”, come dal titolo di un mio libro, dunque, può essere di grande aiuto per favorire l’incontro, la “relazione”. Il grafologo in effetti, potrebbe (seppure lavorando in un team di professionisti diversi – psicologo, pedagogista, conselor – coordinati da un docente-tutor) offrire a chi cresce un’occasione per sentirsi ascoltato da un orecchio partecipe al suo disagio e accolto nella mente dell’adulto senza essere giudicato né valutato per quello che dice; e per quello che non dice. […]
Anna Rita Guaitoli – Dall’articolo su “L’Eco della scuola nuova”, n. 6, 2002