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Le caratteristiche relazionali attraverso il segno. Per un discorso di prevenzione e sostegno

I bisogni di una società complessa e in particolare, di una famiglia in continua evoluzione, necessitano di nuovi strumenti di aiuto.

Da poco è stata riconosciuta l’attività di mediazione e grandi attese si sono verificate in particolare per la mediazione familiare, pensata, e legiferata, per limitare i danni della separazione che, al di là delle posizione teoriche, ci sono e ricadono soprattutto sui figli.

Proprio perché occorre supportare chi deve risolvere conflitti nati dalla sofferenza di situazioni nuove di vita, proprio perché ci si trova a fronteggiare situazioni che toccano da vicino chi cresce, la mediazione familiare si evidenzia come attività particolarmente delicata che richiede interventi a più livelli, e con una integrazione tra le diverse professionalità.

Questo confronto “obbligato” con altri professionisti – quali psicologi, assistenti sociali, ma anche avvocati e giudici – dal punto di vista della mia professione diventa stimolo per un arricchimento (si spera reciproco), impegnando noi a trovare una misurata collocazione.

Sicuramente, dal punto di vista del servizio, la buona grafologia ha capacità di leggere il senso di sé, di adattamento, la qualità affettiva: lo si può ribadire con tranquillità.

Necessità primaria per una prestazione che dia aiuto, sarà però allontanare senza tentennamenti la illusione che il grafologo possa assolvere alla funzione di risolvere i conflitti. Il grafologo può solo farsi “facilitatore” di una elaborazione di quei vissuti che hanno portato al conflitto: mantenendo, questo sì, la speranza che quegli adulti, dopo essersi riappropriati della storia comune nata dalle storie individuali, possano promuovere l’ascolto dei bisogni reciproci […].

Imprescindibile, però, è anche una necessaria preparazione del grafologo, che sia specifica per questa delicata funzione: una preparazione che allontani il pericolo di farci operatori improvvisati; una preparazione che non crei ulteriore danno alla condizione di sofferenza di chi sta cercando aiuto. […]

Soprattutto in una seconda fase, quando sopravviene la necessità dell’incontro con gli adulti, l’attività di consulenza incontrerà inevitabile tensione che può mettere a dura prova le capacità professionali del grafologo. Da una parte è naturale che i genitori tentino una “tirata della giacca” dell’esperto, cercando un suo schieramento a proprio favore. Dall’altra, è ancora naturale che il grafologo avverta disagio nella consapevolezza che il parere, per quanto oggettivo-neutrale cerchi di essere, non potrà non avere un certo peso nelle decisioni e nella vita dei protagonisti.

[…]

 

Anna Rita Guaitoli – Dalla relazione al convegno patrocinato dalla Regione Lazio “Mediazione familiare: un percorso possibile per la soluzione di conflitti” (Frosinone, 17/3/2007)

Il bullismo come sofferenza nelle competenze relazionali

[…] Ma ormai il problema maggiore è cercare di arginare la banalizzazione del significato di questo “gioco crudele”. E tale obiettivo potrà essere realizzato solo se si avrà consapevolezza della complessità di un fenomeno sociale in così forte espansione con l’individuarne i tanti aspetti: dalla multifattorialità delle cause alla complessità del sistema relazionale in cui si attiva il fenomeno stesso. […]

Doveroso, allora, è sottolineare la importanza della dimensione sociale che fa da sfondo a questi fenomeni: il “sociale” sarà da intendersi come produzione culturale di valori (o non-valori). […]

In effetti, tutte le ricerche (e ormai sono veramente tante) vanno ad evidenziare che il bullismo si diffonde in un contesto ”favorevole”: in particolare dove la violenza è modalità culturale primaria… […]

gli adolescenti di oggi che crescono senza poter fare riferimento a griglie culturali, […] subiscono l’effetto accumulo di gesti violenti veicolati dai massmedia e dalle moderne tecnologie […] arrivando a banalizzare la violenza, a non avere più chiaro il concetto di “male”, fino a diventare indifferenti alla sofferenza degli altri. […]

Preferisco perciò sottolineare ciò che è emerso dal lavoro personale “sul campo”, e che pure era stato preso in considerazione in alcune ormai famose ricerche, in particolare del gruppo dell’Università di Firenze: forte incidenza delle distorsioni nelle competenze sociali e una scarsa competenza emotiva. Sia il bullo che la vittima, in effetti, hanno difficoltà ad identificare la reale portata della emozione dell’altro. […] Domina, soprattutto nel bullo-aggressore, l’indifferenza emotiva, quella che poi impedisce un qualsiasi pentimento, che fa perdurare atteggiamenti spavaldi da “duri”.

Ce ne dobbiamo stupire? La desensibilizzazione emotiva che si respira nei vari aspetti della società non aiuta certo i ragazzi a prendere coscienza delle proprie emozioni […] così rischiando loro un ingorgo emozionale in cui si può soffocare.

[…] Rispetto al tema specifico, il pericolo insito nella difficoltà a riconoscere le emozioni  inciderà pesantemente sulle competenze relazionali. […]

Si parte da una cattiva valutazione delle situazioni per pervenire ad una modalità comportamentale dalle reazioni inopportune … o dalle risposte inadeguate …: comunque condotte in cui risultano scarse (o nulle) le competenze emotive (dal saper controllare i propri sentimenti a riconoscere quegli degli altri) e quelle sociali (da soddisfare le proprie esigenze a venire incontro alle esigenze altrui).

Anna Rita Guaitoli – Dalla relazione agli atti del Convegno dell’Arigrafmilano: “Abusi sui minori…aspetti psicologici, clinici, grafologici, giuridici” (Milano, 22/5/2010)

Sulle competenze relazionali

E’ ora di riflettere sul perché il problema delle dinamiche relazionali sia diventato centrale nella formazione dei docenti.

Intanto, perché é una delle necessità emerse all’interno degli sconvolgimenti profondi che vive la società odierna. Non possiamo qui fare una analisi sociologica, ma vorrà dire qualcosa il disagio mentale cresciuto a dismisura interessando, nelle sue varie forme (dai disturbi del sonno, agli attacchi di panico, ai disturbi alimentari, all’abuso di sostanze, alle psicosi) una famiglia su due […]. Può far sorridere, seppure amaramente, la notizia che molte regioni hanno indetto dei veri e propri “master” per i genitori, affinché apprendano a …fare i genitori ; se proprio non ci si riesce si potrà chiedere aiuto al Consulente nelle Interazioni familiari, preparato da un corso di laurea organizzato dall’Università di Torino, facoltà delle Scienze della Formazione. Compito per tutti: l’attenzione da prestare ai figli, i loro bisogni da riconoscere, le relazioni da recuperare.

In secondo luogo, perché l’importanza data alla problematica relazionale rappresenta l’aspetto innovativo più clamoroso della ricerca scientifica: la neurobiologia ha spostato l’accento sulla rilevanza delle relazioni umane, tanto da poter parlare di mente relazionale.[…] Un felice rapporto didattico, per esempio, può fare triplicare il numero delle connessioni sinaptiche (oltre a favorire l’apprendimento), e relazioni positive (il sorriso e le carezze preverbali, ma anche le “parole“ dell’adulto pronto ad ascoltare) aiutano a riparare i danni che eventi stressanti nei primi periodi di vita hanno creato.

Infine perché i giovani, i cui bisogni evolutivi sono quelli di sempre, incontrano maggiore difficoltà alla costruzione dell’identità proprio per le non soddisfacenti esperienze relazionali primarie che li chiudono in un “analfabetismo emotivo” […] Secondo i dati distribuiti ad aprile dall’Oms, il 20% dei giovani soffre di disturbi mentali mentre si abbassa l’età di insorgenza del disturbo tanto che il 3% dei bambini soffre di fenomeni depressivi (Convegno sulla salute mentale in età evolutiva, Roma, 7/4/2001). […]

Da sempre l’insegnamento è un lavoro ad alto tasso di relazionalità, […] finora è stato lasciato da gestire alla buona volontà (o al buon carattere) del singolo, ma è sempre più forte l’urgenza di recuperare questa dimensione relazionale-affettiva nell’ottica di una professionalità diversa che sappia ricercare strumenti idonei […] nella consapevolezza che la relazione non è problema solo di comunicazione: o, per meglio dire, il problema è a monte di quello della comunicazione, ed è un problema di attenzione, prima, di ascolto, poi.

Anche questa precisazione non basta. Perchè non basta ascoltare: c’è bisogno di quello che, da Rogers in poi, si chiama ascolto attivo […]: un ‘ascolto’ che sappia utilizzare gli elementi comunicativi presenti anche nel linguaggio non verbale o para-verbale. “Ascoltare il segno”, come dal titolo di un mio libro, dunque, può essere di grande aiuto per favorire l’incontro, la “relazione”. Il grafologo in effetti, potrebbe (seppure lavorando in un team di professionisti diversi – psicologo, pedagogista, conselor – coordinati da un docente-tutor) offrire a chi cresce un’occasione per sentirsi ascoltato da un orecchio partecipe al suo disagio e accolto nella mente dell’adulto senza essere giudicato né valutato per quello che dice; e per quello che non dice. […]

Anna Rita Guaitoli – Dall’articolo su “L’Eco della scuola nuova”, n. 6, 2002