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Alunni stranieri inseriti nella scuola italiana: modelli grafici a confronto

Entrare adolescenti nel mondo non è facile. Entrare da adolescenti in un mondo culturalmente diverso lo sarà ancora meno.

Convinte che la grafologia deve sperimentare se stessa in rapporto alle situazioni sociali in perenne divenire, abbiamo cercato di testare gli strumenti a nostra disposizione relativamente all’inserimento di studenti stranieri nella prima classe della scuola superiore.

Per questo piccolo studio ci si è soffermati in particolare sulla realtà dell’Istituto Tecnico per il Turismo che per sua natura offre accoglienza a ragazzi non italiani.

Pochi sono stati i parametri grafologici scelti: una limitazione del campo della ricerca che abbiamo ritenuto funzionale ad un primo ma circostanziale approccio che sia pretesto per una riflessione più approfondita.

 

1.   IPOTESI E ITER DEL LAVORO

L’ipotesi iniziale era che potessero esserci delle differenze importanti tra i modelli grafici adottati dagli alunni italiani e da quelli stranieri, a causa delle diverse origini culturali e dei molteplici tipi di apprendimento della scrittura vigenti in paesi diversi.

Si è lavorato su un campione di 77 grafie, di cui 48 di italiani (41 femmine e 7 maschi) e 29 di stranieri[1] (21 femmine e 8 maschi), tutti iscritti al 1° anno dell’Istituto Tecnico per il Turismo e con età che va dai 14 ai 18 anni. Dato l’esiguo numero degli alunni maschi, non abbiamo ritenuto di valutare separatamente le grafie rispetto al sesso. Le grafie analizzate sono tutte state raccolte durante la prima settimana dell’anno scolastico.

I parametri scelti per confrontare le grafie sono: il tipo di carattere (corsivo, script, stampatello), la dimensione (piccola, media, grande, […]

2.     DATI STATISTICI

Da un punto di vista strettamente statistico è emerso che le specie analizzate sono presenti effettivamente in percentuali diverse nelle scritture straniere rispetto a quelle italiane, come indica la tabella qui sotto: […]

[…] Anche le modalità di presentazione della scrittura ci dicono che i ragazzi stranieri si comportano diversamente da quelli italiani: tra gli stranieri, infatti, è raro trovare una forma sciatta (7% contro il 21% degli italiani); al contrario, quasi tutti scelgono una modalità accurata (93% contro il 79% degli italiani): o meglio si sforzano di ‘mettere cura’ nella loro grafia, pur raggiungendo risultati molto diversi nei diversi gradi.

3.     RIFLESSIONE SUI DATI

Il dato che più ci sentiamo di sottolineare è la scelta del corsivo effettuata solo dal 27,5% degli alunni stranieri. Questo può essere significativo sia di una diversa origine del gesto grafico[2] data da differenti modelli delle scuole di altri paesi, sia dalla difficoltà da parte dei ragazzi stranieri di sentirsi a loro agio in un contesto scolastico e sociale tanto distante da quello in cui si sono formati nei primi anni della loro vita e della loro carriera scolastica. Lo script[3] e lo stampatello sembrano confermarsi come ‘armi di difesa’, come maschere dietro cui nascondersi per poter osservare la nuova realtà che li circonda e decidere, poi, come reagire ad essa.

Se consideriamo questa scelta formale espressione di una volontà che si impegna fino allo sforzo, ci ritroviamo a sottolineare[4] un aspetto qualificante della modalità di accurata presente in modo pressoché totale nelle scritture dei ragazzi stranieri (93% contro il 79% degli italiani).

Una presenza così massiccia impone ulteriori riflessioni. Intanto, non sarà da trascurare che la motivazione all’attenzione e al controllo della forma (con conseguente riduzione del movimento e della spontaneità), oltre ad
esprimere il desiderio di essere riconosciuti ed accettati,  risponde alla necessità di farsi capire in una lingua e in una costruzione che non sempre è per loro familiare né spontanea.

Poi, occorrerà integrare il dato, messo in evidenza, dell’accurata /script-stampatello con altri elementi grafici emersi dalla prima parte dell’indagine […].

alunni stranieri 1

Delicatezza e cautela, nel misto script di una ragazza filippina di 14 anni, che presenta curva attivata da angoli, pressione leggera, buona distribuzione di bianchi importanti, e viene arricchito da leggere e metodiche disuguaglianze.

[…]
4.     CONSIDERAZIONI IN PROSPETTIVA EVOLUTIVA

La presenza di giovani stranieri nelle scuole italiane è un dato ormai inconfutabile, che, sia come cittadini, sia – soprattutto – come insegnanti, deve farci riflettere. Questi ragazzi si trovano, spesso dopo aver affrontato situazioni difficili ed essersi lasciati alle spalle realtà che noi appena immaginiamo, a dover formare una propria identità privi dei punti di riferimento che una “identità culturale” può offrire: […]

Lo studio delle grafie a confronto tra alunni italiani e stranieri – senza dubbio da approfondire – ci conferma quanto sia davvero indispensabile, come educatori o insegnanti, imparare ad ‘ascoltare’ i segnali che gli adolescenti ci lanciano. Per capire le loro incertezze, certo; per aiutarli ad inserirsi. Ma anche per arricchirsi della loro maturità spesso diversa, della loro voglia di costruire. Questo ascolto, questa interazione, può diventare uno sprone, comunque, per insegnanti, alunni, società tutta, a crescere insieme come cittadini del mondo.


Anna Rita Guaitoli – Dall’articolo pubblicato nella rivista  “Il Giardino di Adone”, n. 5

 


[1] Provenienza dei ragazzi stranieri: Romania (6), Ucraina (1), Bielorussia (1), Russia (1), Bulgaria (1), Polonia    (1), Montenegro (1), Bosnia (1), Cina (1), Filippine (4), Sri Lanka (1), Bengala (1), Marocco (1), Egitto (1), Perù (2),  Ecuador (3), Colombia (1), Argentina (1).  Gli alunni analizzati sono in Italia e scrivono Italiano da tempi diversi (massimo 5 anni) e solo 4 di loro hanno imparato a scrivere in Italia.

[2] La variegata provenienza dei ragazzi presi in considerazione non permette un’analisi significativa dei diversi modelli grafici scolastici dei vari paesi.

[3] Non si può dimenticare che in alcuni paesi lo script è il modello grafico proposto nelle scuole.

[4] A.R.Guaitoli, A.Orlandi, Ascoltare il segno. Per un dialogo silenzioso con la scrittura dell’adolescente, Roma, Borla, 1999

P.Cristofanelli, S.Lena, Grafologia ed età evolutiva, Brescia, La Scuola, 2002

Il corpo è segno

L’anoressia in particolare, e i disturbi del comportamento alimentare nel loro complesso, sono ormai considerati come una vera malattia sociale. Sono disturbi che sfuggono ad una visione unilaterale e si presentano come malattia multiforme per la quale si parla di comorbidità e  si richiedono interventi integrati.

I dati sono allarmanti sia per la entità del fenomeno (in Italia si parla di 2-3 milioni di casi), con la sua diffusione in ogni classe sociale; sia per la percentuale di morte (è la prima causa di morte psichiatrica); sia per l’estensione a fasce di età sempre più ampie: ancora predominante in fase adolescenziale, si sta allargando ad età mature e, soprattutto, appare in età prepubere.

Ecco allora l’urgenza, avvertita da vari specialisti, di “capire i segnali” nel loro sorgere per poter costruire poi quell’intervento precoce che sembra essere l’unico a garantire il successo dei trattamenti.

 

Il luogo

C’è una struttura pubblica che cura, in modo pressoché unico in Italia, l’anoressia.

“Non ci si sente a casa dove si vive, ma dove si è compresi”, ha scritto una ragazza, Silvia, in un biglietto che si trova nella sala di un grande, antico, palazzo di Todi.

E’ proprio a Palazzo Francisci che un gruppo di specialisti guidati dalla psichiatra Laura della Ragione ha intrapreso, ormai dal 2003, un progetto di cura che parte proprio dalla volontà di offrire una casa […].

 

La ipotesi della ricerca

Certo: non esiste il segno che rivela il problema. Così come non esiste la scrittura dell’anoressia. Sono da tempo comparsi studi[1] che hanno attestato la presenza di sindromi grafiche capaci di cogliere alcuni tratti specifici dei disturbi in questione: volontà di controllo, per esempio; ma anche perfezionismo, ansia, difficoltà a gestire le emozioni.

Purtroppo sono, queste, tematiche che è facile riscontrare in grande parte delle scritture adolescenziali[2].

Ho allora cercato di lavorare su più prove grafiche analizzabili nella specifica morfologia del segno (livello grafico, livello formale) i cui elementi potessero trovare convergenze di indici (intratest, intertest) e, nell’interagire, permettessero di cogliere significati importanti del messaggio grafico.

Premesse metodologiche

La permanenza dei ricoverati nella casa di Todi dura tre mesi, con moduli di ripresa. Non sempre, pertanto, date anche le condizioni di salute, il tempo era sufficiente per completare il protocollo intero.

I dati sono stati analizzati statisticamente sia all’interno delle singole prove, sia all’interno del protocollo completo. Nell’ambito di un articolo ho ritenuto opportuno presentare solo i dati relativi ai casi esaminati nel loro complesso.

Mi riferirò, dunque, a 47 casi. Di questi solo 3 sono maschi.

L’età prevalente va dai 14 ai 29 anni (89,4%); solo due soggetti hanno oltre i trenta anni (4,2%) e 3 si trovano sotto i 14 (6,4%) […]

Anna Rita Guaitoli – Dall’articolo pubblicato nella rivista  “La Graphologie “, n. 276

 


1) Tra quelli apparsi su”La Graphologie”: M de Noblens, B. Golse, “L’anorexie mentale de l’adolescent”, n. 188; C. Devaux, “Psycologie des conduites de dèpendence à l’adolescennce”, n. 219; M. Basquin, M. Dubois, “ L’adolescent et son corp”, n. 232

2) A.R. Guaitoli, A. Orlandi, Ascoltare il segno. Per un dialogo silenzioso con la scrittura dell’adolescente, Roma, Borla, 1999

Scarabocchio e leader

Nell’ambito della ricerca portata avanti dall’Istituto dell’età evolutiva di Urbino sul rapporto tra scarabocchio disegno scrittura, ci si è occupati di bambini dell’asilo nido. Nelle schede organizzate da Silvio Lena le insegnanti dovevano indicare anche la capacità di leaderschip (leader; poco dominante; gregario o sottomesso erano le voci specifiche).

Su 66 bambini (con età tra 18 mesi e 3 anni e 8 mesi) da me esaminati solo 17 hanno avuto la qualifica di leader: 7 maschi e 10 femmine tra i 26 mesi e 3 anni/7 mesi.

Ma come può un bambino dell’asilo nido essere leader? Quale ne è la percezione dell’insegnante? Quale, soprattutto, la rispondenza grafica? Troppo piccolo il campione per dare risposte significative. Deve quindi considerarsi, questa ricerca, come punto di partenza per una indagine che potrebbe essere davvero interessante.

Se nelle definizioni più comuni il leader é chi sa imporre le proprie scelte motivando gli altri a seguirlo, sulla leadership ci sono numerosi studi che ne hanno portato a definire stili diversi e, anche se per lo più le ricerche hanno dimostrato che non esistono tratti psicologici comuni né comportamenti che ne garantiscano efficacia, riteniamo di un certo interesse, nell’ambito delle nostre indagini, le categorizzazioni di K. Lewin che vanno a definire una leadership permissiva, basata su una dominanza di gentilezza, e una autoritaria su dominanza di aggressività.

Per quanto riguarda l’età evolutiva, pur sapendo bene quanto i rapporti del bambino con i coetanei forniscano un contributo importante anche ai fini dello sviluppo fin dall’età precoce, poche sono state le ricerche in questo senso […]

Le valutazioni delle insegnanti sono state compatte a indicare una non rilevabilità dell’ansia (per 13 bambini non percepibile, per 4 “poca” presenza); una decisa sicurezza (7 bambini “molto” sicuri, 9 “abbastanza”) con una notevole capacità di decisione (6 bambini “molto” decisi, 11 “abbastanza”); “per nulla” inibiti, del resto, si sono dimostrati 13 bambini, “un pò” 3 di loro; interessanti i dati sull’emotività, “poca” per 7 bambini, “abbastanza” per 10. Proprio partendo da questa voce possiamo sottolineare, quasi una controprova, la assoluta mancanza di emotività elevata, così come lo era di ansia; totale assenza di indecisione e un solo caso di insicurezza; ma anche una forte presenza di valori medi per la riflessione, con un solo giudizio di “irriflessivo” e nessun “molto riflessivo”: evidentemente […]

Seppure, dunque, su un campo di indagini esiguo, l’analisi grafologica, anche di prove eseguite da bimbi tanto piccoli, sembra confermare la sua utilità per integrare l’osservazione diretta e il resoconto degli insegnanti […] seppure non elementi di giudizio vengono dall’analisi grafologica, ma suggerimenti per un controllo longitudinale […]

 

Anna Rita Guaitoli – Dall’articolo pubblicato nella rivista “Scrittura” n. 132

La scelta dello stampatello nella costruzione dell’identità

Di fronte alla sempre maggiore frequenza nelle scritture di oggi del modello script (per semplificazione: considereremo sotto questa voce sia lo script in cui permane la presenza della zona minuscola, sia il tipografico con le lettere tutte maiuscole, sia -quello oggi prevalente- misto di lettere corsive e non), due sono le domande che bisogna porsi: dal punto di vista più strettamente sociologico, fino a che punto si sta estendendo; dal punto di vista specificatamente grafologico, come poterlo analizzare.

Per qualunque prospettiva di analisi, rimane la domanda fondamentale: perché?

Intanto alcuni dati. Nell’ultima inchiesta francese sulle scritture degli adolescenti (1997) lo script era presente nel 23% delle scritture dell’ultimo anno scolastico, con forte aumento rispetto alla precedente degli anni ‘80.

Oggi, l’aumento è percepibile facilmente nell’esperienza di tutti. E comunque su 350 scritture di ragazzi dai 14 ai 19 anni da me analizzate negli ultimi tre anni scolastici ho riscontrato una percentuale del 60% nel biennio (14/16 anni) e del 37% nel triennio (16/19 anni).

Pur tenendo presente, dunque, caratteristiche specifiche della fase evolutiva quali transitorietà, spinta dell’imitazione, necessità avvertita di chiarezza, è innegabile che lo script si stia affermando come modello che va a soppiantare quello dominante fino a qualche anno fa, molto tondo, gonfio, con cerchietti al posto dei puntini.

Il peso della sua frequenza ci impone di non risolvere l’analisi di uno script con sbrigatività e ci costringe a superare la visione tradizionale per cui questa scelta grafica, in quanto povera di movimento, sia solo una bizzarria; e in quanto “maschera”, rappresenti una costruzione falsa di sé.

[…]

Sarà da capire allora quali possano essere le motivazioni generali possibili dietro questa scelta. Mi è sembrato utile per una analisi non astratta,  fare riferimento alla collaudata teoria di Maslow […] Ricordiamo anche che i bisogni, come tali, mettono in moto le motivazioni: quelle motivazioni che, a loro volta, attiveranno dei comportamenti ritenuti opportuni e funzionali alla soddisfazione dei bisogni stessi.

[…]

Questo è stato e questo è. Non possiamo però, in quanto a contatto con i ragazzi e in quanto studiosi di comportamenti, non interrogarci sull’uso sempre più frequente dello script, cercandone i perché.

Una delle risposte che si può proporre in aggiunta a quelle sopra esposte è che nel momento in cui i modelli relativi all’identità collettiva risultano più fragili, più difficile diventa, per questi nostri adolescenti, la conquista di identità. […]

Ritornando nell’ambito del nostro specifico, una tale realtà sociologicamente macroscopica non potrà che spingerci a porre nuova attenzione agli elementi grafici da valutare superando le cautele, se non le critiche, di chi analizzava nel passato questa modalità scrittoria allora rara, sottolineandone monotonia, gesto spezzato, povertà di movimento. Dal punto di vista dell’analisi, lo sguardo si dovrà fare attento al tracciato […]

Non basterà certo mettere delle croci su qualche griglia per cercare il “perché” di quel comportamento grafico. Solo la capacità di valutare le sfumature, di cogliere il dosaggio dei pesi in gioco, permetterà al grafologo di entrare nella struttura intima e intercettare il senso di quel conflitto di forze che ha dato l’avvio alla costruzione di tanta armatura di difesa. Una armatura che, comunque, permette di esserci.

Anna Rita Guaitoli – Dalla relazione nella giornata di studio e di aggiornamento dell’AGP Lazio “ L’immagine e l’identità di sé nella scrittura spontanea e in quella artificiosa” (Roma, 13 novembre 2005). 

La formazione dell’autostima nell’epoca dei “Narcisi”

Quanto l’autostima sia fondamentale per vivere bene la vita, lo si sa. Forse non sempre si riflette su quanto il livello di autostima nasca da un confronto fra sé e il mondo circostante.
Se l’analisi della situazione parte da un confronto errato, errate – ovviamente – saranno le conclusioni.

Noi che ci occupiamo di scrittura, prodotto “sociale” prima che individuale, non possiamo non interrogarci su come sia il mondo circostante. OGGI.
Non sempre, e non subito, si avranno delle risposte. Ma, almeno, si cercherà di svincolarsi dagli schemini per entrare nella realtà. Si eviterà così il rischio di parlare degli adolescenti di venti-dieci anni fa: ricordate, quelli che scrivevano gonfio, arrotolato, a boule?
Gli adolescenti che vivono QUESTA realtà sono quelli che per 4 ore al giorno mandando “messaggini” e tutto il giorno mantengono il “controllo” della pagina facebook.

Sarà pure liquida, ma certo la nostra è società che vive trasformazioni definibili epocali, e senza enfasi retorica. Possibile che non cambino i processi di apprendimento? E le relazioni? E, soprattutto, la costruzione della propria identità?

Con riferimento all’argomento da trattare, cominciamo da qui, perché non si può parlare di autostima se non c’è identità. Che non è una ‘cosa’ definibile con una parola: ma un processo complesso che si costruisce nel tempo, attraverso i rapporti, all’interno della società di appartenenza.

Lo sviluppo dell’identità individuale è condizionato, oggi, dall’incontro tra la società detta “liquida” e la rivoluzione teconologica-digitale. Stanno così cambiando le abitudini e i rapporti degli adulti; soprattutto, ad essere coinvolti saranno loro, gli adolescenti: quelli della generazione Z, o “Nativi digitali”.

Per indagare la nuova realtà occorre che non vi siano paraocchi ma nemmeno giudizi superficiali (peggio, pre-giudizi). Bisognerà individuare i vari aspetti, e valutarli all’interno di un range tra rischio e opportunità.

A cominciare, bisognerà valutare il senso del nuovo narcisismo, sempre più celebrazione estetica e spettacolare del singolo.

Quelle immagini che, soddisfacendo il desiderio di rappresentazione per così essere riconosciuti, dovrebbero far crescere l’autostima, rischiano (vedi aspetti particolari come selfie e egosurfing) di costruire un narcisismo fragile sul quale si costruiranno identità fragili; e ambigue.

Sarà anche un narcisismo patologico? Segnali inquietanti sempre più diffusi ci sono. Ma lasciamo che altri, competenti, indaghino, riflettano.

Noi, senza drammatizzare, incontreremo nel tracciato grafico un ragazzo per quello che è oggi: con le sue paure – quelle di sempre – che sempre più difficilmente trovano parole. Con le emozioni che bruciano dentro, ma si spezzettano nelle mille “faccette” con cui può esprimere solo stati d’animo, brevi e superficiali.

Dopo tutto questo discorso, si può pensare allora che scritture così siano oggi ancora prevalenti?

sintesi1

 Ma allora, se l’autostima è legata alla immagine che viene modificata narcisisticamente – e continuamente – in onore di quel povero Io che non ha altri punti di riferimento né altri parametri per cui rafforzarsi, troveremo tutti … Zelig?

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Anna Rita Guaitoli – Dalla relazione La formazione dell’autostima nell’epoca dei Narcisi per la giornata di studio e di aggiornamento dell’AGIF “L’autostima, nei suoi aspetti grafologici e psicologici” (23 novembre 2013)

La grafologia come supporto di prevenzione nei disturbi di borderline

Così è

Il 50% dei disturbi mentali ha origine nell’adolescenza.

La Commissione europea per la salute (con uno studio cui ha partecipato anche l’Italia: European Study on the Epidemiology of Mental Disorders, 2008) ha preso atto delle sfide aperte nel campo della salute mentale evidenziando, da una parte, la crescita esponenziale delle stesse, dall’altra sottolineando come priorità la prevenzione, da attivare in particolare nel mondo della scuola.

Ancora uno studio USA (Dipartimento di Psicologia della California, Los Angeles, 2008)  che ha seguito 291 persone con sintomi a rischio per 2 anni e mezzo, ha confermato l’importanza di una prevenzione per evitare lo sviluppo di un disturbo più grave, o almeno il passaggio alla cronicità.

Il pericolo c’è: ed è quello di dare etichette a comportamenti che possono essere transitori e possono rientrare nelle “turbolenze” dell’adolescenza: nel momento, cioè, in cui tutto viene rimesso in discussione.

Questo rischio si fa tanto più evidente per quella malattia che per sua stessa definizione si trova sulla linea di confine e che sta diventando la malattia capace di segnare la nuova emergenza sociale. Il disturbo di borderline, appunto.

[…]

A sottolineare quanta cautela occorra nell’utilizzare un modello categoriale, sono proprio i curatori del DSM IV. Spiegano, infatti, che i criteri specifici (nove quelli dati, cinque almeno quelli da soddisfare per una diagnosi di BPD) debbono essere intesi come semplici schemi orientativi: con una loro utilità pratica, certo, (anche per far proseguire la ricerca e la didattica) ma deboli per un sicuro inquadramento nosografico di questo fenomeno la cui complessità del quadro clinico è tale da rendere obbligatorio il concetto di comorbidità […]

La ricerca

La ricerca, impostata sulla analisi degli elementi grafologici di base (spazio, movimento, forma, tratto: esaminati secondo le indicazioni della scuola francese cui debbo la mia formazione) ha visto emergere sin dalla prima tappa una forte convergenza intorno a tre modalità dell’uso dello spazio (nella sua occupazione e nel suo ritmo distributivo).  […]

All’interno di questi raggruppamenti venuti ad imporsi in un modo che vorrei definire “spontaneo”, sono stati analizzati gli altri elementi grafici che, nel loro insieme, hanno prodotto sindromi (talvolta definendo dei sottogruppi) tali da suscitare una attenzione “qualificata”. […]

Convergenze teoriche e approfondimenti

Ho concluso la presentazione di ognuno dei tre gruppi con il riscontro possibile tra gli elementi grafologici rilevati e gli elementi emersi dalla pratica clinica e dalle riflessioni delle scuole psicologiche di diverso orientamento teorico e terapeutico (in particolare, come si è visto, tra i diversi quadri grafologici e quelle “convinzioni di base” facenti parte del sistema cognitivo tracciato da Beck). Sono “incontri” che quando avvengono in modo spontaneo, senza forzature per schemi precostituiti, non possono essere casualità.

Evidentemente queste rispondenze permettono non solo il rafforzamento reciproco ma soprattutto, aprendo la strada ad un dialogo fecondo, fanno intravedere la possibilità di una analisi integrata di maggiore spessore. In particolare ho messo in rilievo nei corsivi finali seguiti dal punto interrogativo alcune “piste” che sembrano aprirsi per nuove indagini che abbiano come fine un perfezionamento delle strategie preventive e terapeutiche.

E ci avviciniamo così al concetto di “trasversalità integrativa delle varie scuole” proposto da Lingiardi (Lingiardi, 2001).

Fermandomi brevemente all’interno dello specifico grafologico, vorrei evidenziare un’altra possibile integrazione che tenga conto, intanto, dei temperamenti morettiani: […]

Il senso che si verificherà nel tempo

All’interno di questa ricerca, seppure ancora limitata nei numeri, sono stati osservati dei fatti (che equivale alla raccolta dei sintomi), sono state proposte delle ipotesi (possibili diagnosi): la loro conferma, o confutazione, avverrà attraverso altri esami, altre ricerche che possano avere anche più solido materiale (numero maggiore di scritti, migliore protocollo di somministrazione). La rilevazione degli elementi considerati, aggregati in sindromi, ha però raggiunto un grado di verità possibile che può comportare verità generali probabili.

La riflessione finale sulle eccessività grafiche riscontrate, corrisponde in massima parte alla riflessone contemporanea che, pur senza rifiutare del tutto l’ottica categoriale (propria del DSM IV), va privilegiando una visione dimensionale […]

Come grafologi, pur restando fuori dallo specifico della diagnosi e della prospettiva della malattia, ci prendiamo il diritto di entrare nel sistema scrittura e di sottolineare le potenzialità di un nostro intervento.

Personalmente, sulla base di una formazione pedagogica, non ho mai voluto dimenticare che nell’analisi della grafia deve essere presente il rispetto, oltre che della unicità della persona, della crescita e del cambiamento possibile: sempre. […]

L’equilibrio disturbato nell’importante fase di strutturazione quale è l’adolescenza, può essere segnale di tutto: ed è proprio in questi contesti necessariamente non definiti che la grafologia può intervenire con i suoi strumenti ermeneutici flessibili. Tali, appunto, da permettere una indagine continua per verificare nel tempo il senso di questi disturbi ma anche per accertare la possibile evoluzione degli stessi entrando, così, in una dimensione che vorrei definire collaborativa .

[…] Soprattutto, l’analisi grafologica, si offre quale importante strumento per una prevenzione secondaria da intendersi secondo il concetto elaborato dalla Medicina sociale: la individuazione precoce di una malattia attraverso una lettura di segni anche minimi, prima ancora che il soggetto o l’ambiente familiare scolastico ne abbiano avuto consapevolezza. Sono diverse ormai le ricerche che individuano una “fase-rischio” nei due-tre anni, ma anche cinque anni, che precedono l’esordio di crolli psicotici. […]

Anna Rita Guaitoli – Dalla relazione al IV Congresso Internazionale di grafologia “I giovani e la grafologia. Le ragioni di un incontro” (Firenze, 6-8 Marzo 2009)