R. Chimenton, A.R.Guaitoli
La malattia
… A rendere complesso il tentativo di definire “cos’è un borderline” non è dunque, soltanto, la mancanza di un sostanziale accordo tra i clinici, ma la natura stessa del disturbo, con le sue caratteristiche fluttuazioni, i suoi repentini cambiamenti di umore, i frequenti e ripetuti passaggi all’atto, la sua difficile gestibilità.
In un certo senso, la stessa possibilità di definire il disturbo è “borderline”, e da sempre studiosi di differente orientamento teorico si sono interrogati sulla possibilità di trovare una sua collocazione all’interno del panorama nosografico classico costituito dalle due grandi categorie psichiatriche di nevrosi e psicosi. Accostato variabilmente alla schizofrenia, ai disturbi dell’umore, ai casi più complessi di nevrosi, il disturbo borderline condivide, di fatto, importanti aspetti di tali patologie, pur non essendo a esse riconducibile.
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A ben guardare, sembrano le tessere di un mosaico che compongono il ritratto di molti adolescenti “difficili”, capaci di gettar fuori da sé quote impressionanti di emozionalità pura, di indossare, senza soluzione di continuità, i panni della vittima e del carnefice in un dialogo feroce e inarticolato con se stessi e con il mondo, privi di un adeguato terreno simbolico dove agire le proprie rappresentazioni nel complesso e difficile percorso di costruzione del Sé. […]
È evidente che di fronte alla complessità del BPD, qualunque ipotesi patogenetica che non voglia apparire ingenua e riduzionistica necessita della messa a punto di un modello multidimensionale di valutazione teso a cogliere l’impatto dei diversi fattori di rischio (neurobiologici, temperamentali, psicosociali) sottesi all’insorgenza della patologia.
Ma è l’esame dei fattori socio-culturali a rappresentare il capitolo forse più complesso e significativo relativo allo sviluppo del disturbo borderline. Il BPD si colloca all’interno […]
L’unica certezza è forse quella posta da un numero sempre crescente di clinici, riassumibile nelle parole di Giovanni Liotti relative al BPD: “una “nuova? certamente in espansione malattia dell’anima giovanile”.
Romano Chimenton
La grafologia
Sicurezze ormai la grafologia ne ha acquisite. La sperimentazione, allora, dovrebbe servire non più a cercare validazioni-giustificazioni nei confronti di altre scienze ma a testare le possibilità dell’analisi grafica in diversi ambiti e cercare di capire quale contributo la nostra disciplina possa offrire agli specialisti di quei settori.
Con tale spirito, sintetizzabile in “umiltà di servizio”, ho partecipato alla parte sperimentale di una tesi della facoltà di Psicologia (Dipartimento di Medicina Legale, Cattedra di Medicina Sociale, La Sapienza di Roma) che voleva fare il punto su questa che ormai è la malattia giovanile per eccellenza. E voleva pensare, soprattutto, alle possibilità di una qualche prevenzione. […]
Le scritture che mi sono state sottoposte erano di pazienti con diagnosi di BPD acclamata. Il numero complessivo (24, poi analizzate per completezza di informazioni 14) è sicuramente troppo limitato per dare sicurezza dei risultati. Diventa però interessante evidenziare come nel processo dell’indagine si venivano quasi “spontaneamente” a determinare tre gruppi di scritture raccolti per dominante grafica, con corollario di alcuni sottogruppi.
I limiti dell’articolo mi permettono di presentare solo una delle caratteristiche grafiche apparse prevalenti in questa ricerca controllata, con brevi esempi di supporto. Una forzatura, certo, a livello grafologico del cui pericolo bisogna essere ben consapevoli. Ma che, forse, è un bene perché permette di focalizzare una traccia che potrebbe rivelarsi davvero significativa.
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Avremmo potuto noi definire queste scritture come “patologiche”?
Non credo questa sia la domanda giusta. Né per i rapporti con le altre scienze con cui si può instaurare un dialogo serrato, reciprocamente arricchente, solo se i confini dello spazio lavorativo non siano oltrepassati; né nei confronti della nostra disciplina che non può rischiare credibilità con azzardate analisi sulla base di semplicistici schemini, accozzaglia di elementi, superficiali sicurezze.
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Le domande nostre, allora: questa eccessività è contraddetta da altre forze? C’è, per esempio, un ritmo di movimento che permetta di pensare ad una integrazione possibile con l’altro? C’è un tratto che indica la flessibilità e l’energia sufficiente per entrare in qualche modo in contatto con il mondo e sopportare le frustrazioni? Ci sono compensazioni formali che evidenziano il complesso gioco di forze nel controllo dell’ambivalenza?
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Ecco la seconda speranza che si interseca con la prima: che la grafologia possa diventare sostegno agli interventi di cura; o, addirittura, possa facilitare uno screening di massa per un aiuto precoce.
Su questa possibilità dobbiamo scommettere.
Anna Rita Guaitoli
Anna Rita Guaitoli – Dall’articolo in “Il Giardino di Adone, n. 12