…e Darwin curioso, e la Monroe narcisista. E, magari, Beethoven “armonioso”. Ovviamente, Leopardi era pessimista e la Castiglione prima arrivista e poi pazza.
Tra banalità e clamorosi errori[1] il grafologo che vuole occuparsi di Storia e di Personaggi Noti si ritrova in un limbo pericoloso: pericoloso, intanto, per la grafologia che rischia continuamente di inabissarsi nei luoghi comuni; soffocante per chi vuole fare ricerca nell’ambito della grafologia quale scienza autonoma capace di portare un contributo specifico alle altre discipline. Alla Storia in questo caso.
Il primo rischio, più generale, per chiunque cerchi di coniugare storia a Storia è quello di cadere nello psicologismo insulso: sarà che Dante voleva la monarchia universale perché aveva avuto un difficile rapporto con la madre?[2] In realtà, nemmeno la Storia (sia storia della letteratura, degli avvenimenti, del costume…) può fare a meno della psicologia, se questa significa porre attenzione ai comportamenti dell’uomo quale prodotto dei rapporti tra le dinamiche interne e l’ambiente. In fin dei conti altro storico, tra i più grandi (ed è l’ultimo che cito), Marc Bloch, affermava: “Cos’è che interessa allo storico? Tutto ciò che sa di uomo”.
Ma allora: quale scienza può dire qualcosa sulla individualità dell’uomo, sulle sue dinamiche, sulle fragilità e compensazioni, meglio della bistrattata grafologia? Proviamo, qui, a proporre una riflessione – leggera ma rigorosa – su alcuni aspetti metodologici relativi alla possibilità di cooperazione tra grafologia e storia, partendo da una valutazione dello stato attuale.
Debbo subito constatare con sorpresa – ed ecco materializzarsi il secondo rischio, più nostro – che spesso nello scrivere di personaggi storici c’è oggi troppa voglia di fare uno scoop[3], e una troppo grande indifferenza alla documentazione: la quale esige, ahimè, dispendio di soldi e di tempo.
Talvolta, invece, di documentazione ce ne è tanta, e il ‘tanto’, con la rete, è comodamente a disposizione. Il pericolo è allora di ubriacarsi di così ricco materiale, con l’alta probabilità di incorrere in un sotto-rischio tra i più rovinosi, l’agiografia del personaggio. […]
Anna Rita Guaitoli – Dall’articolo pubblicato nella rivista Grafologia e sue applicazioni, n. 1, 2013
[1] Oltre al Beethoven “armonioso” di Crépieux, le analisi di Padre Moretti, in questo senso, sono tra le più discutibili. Vi si ritrovano, in verità, intuizioni e valutazioni affascinanti, ma pesanti risultano essere gli schemi religiosi-ideologici, tali da offuscare spesso la lettura dei segni grafologici.
[2] Di come questa ipotesi vaneggiante venisse trattata in tre poderosi volumi psicanalitici ce lo confermava, in tempi non troppo lontani, il rimpianto professore Marco Tangheroni, medioevalista dell’Università di Pisa.
[3] Di pericolo, in realtà, c’è anche quello della grafologia superficiale: per esempio, il filiforme tonico della firma di un Presidente viene visto come fragilità della zona media compensata dalle grandi maiuscole. Si tralascia il ritmo di spazio, la forza del tratto nutrito… Di questo pericolo, meglio farne cenno solo in nota.